Vorrei un pulpito in mezzo ai Quattro Canti, così da poter visionare ciò che intorno accade e percepire quel che di storico c'è in un punto nevralgico di una capitale dalle due facce.
Laddove si diramano quei ' quattro mandamenti' nati in epoca spagnola attraverso quello che gli storici d'oggi chiamano 'taglio di via Maqueda', e passati alla storia per quel che “Storia“ avrebbe dovuto non essere.
Un centinaio di anni a seguire, a pochi metri da quell'occhio onnisciente che è Piazza Vigliena sorge il Convento dei Padri Teatini poi sede della Facoltà di Giurisprudenza dell'Università degli Studi di Palermo.
Varcando quel porticato che da fronte a Piazza Bellini, splendente della Chiesa della Martorana e delle cupole rosse di San Cataldo, mi ritrovo in un loggiato che di “Storia“ ne ha da vendere.
E' afoso il caldo in “atrio” in quel di luglio, la stessa afa che Paolo cercò di spazzare con una folata di libeccio la cui gradevolezza avrebbe reso i volti più sorridenti che sbuffanti.
Vi potremmo trovare gli eredi tra il colonnato, forti di quello che questa nostra storia recente e contemporanea gli ha dato, tolto e ancora, ridato.
Sento quella forte cadenza sicula, rimembra quei quartieri e quelle borgate come la Kalsa, o il Capo, dove lo spirito d'appartenenza è forte, scandisce un linguaggio giuridico senza molti fronzoli, é diretto, sincero, a dir poco pungente, non ha paura di essere ascoltato o sentito, non ha paura di dire “NO”, ha voglia di imparare ad amare ciò che non gli piace per poterlo cambiare.
E ancora sorrisi tra colleghi e/o amici immortalabili in una foto in bianco e nero come una polaroid faceva negli ottanta.
Anni ottanta, quelli delle Lacoste, pelle di quell'anima che tanto diede a questa terra senza chiedere nulla in cambio, pelle che molti giovani e non-giovani, non possono comprare per mancanza di danaro, ma che hanno il coraggio di cucirsela addosso.
Non ho più visto del fumo nero in città, solo quello emanato dalla Conca d'Oro dovuto al caldo torrido.
Tornando ai Quattro Canti mi rendo conto che le mie gambe hanno fatto tanta strada.
Aria di sollievo, un sorriso dovuto ad un incontro mai avvenuto fisicamente, ma dentro c'è, c'è stato e ci sarà, non so se in una Biblioteca Comunale o in un bar.
Ciao Paolo, è un piacere incontrarti, sono passati vent'anni eppure sembra ieri.
A Paolo Borsellino
Valerio Lo Jacono
Caro amico ti scrivo - di Valerio Lo Jacono
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