Le tredici vittime, nota a Bagheria dei misfatti 6 di Biagio Napoli
Giovanni Girgenti (foto in basso) ha scritto, in dialetto siciliano, un’opera teatrale dal titolo La campana di la Gancia ovvero, come lo definisce l’autore, un episodio scenico in tre atti preceduto da un antefatto. Questo si svolge in una fattoria di campagna nei dintorni di Palermo dove alcuni personaggi , tra cui Francesco Riso, stagnaro e fontaniere, ispiratore della rivolta del 4 aprile 1860, segretamente si riuniscono per organizzarla.Leggiamo dall’antefatto:
FRANCESCO CRISPI Semu tutti ?
FRANCESCO RISO Accussì pari, vintiquattru…C’è puru Gasparinu Bivona e Cicciu Ventimigghia, e macari Antria Coffaru, lu paisanu di Peppi Scurdatu e di Filippu Aiello, chi a lu quarantottu ficiru pi centu.
FRANCESCO CRISPI Megghiu accussì: ogni bona simenza torna a ciuriri. (1)Come si vede l’autore accredita la vulgata, risalente alla Guida Bagheria-Solunto del 1911, che fa di Giuseppe Scordato un eroe e un patriota; quello che grandemente sorprende è però che faccia diventare Andrea Coffaro cospiratore e rivoltoso già prima del fatto di torre Ferrante. Il personaggio ritorna nel primo atto venendo addirittura sottoposto ad un lungo interrogatorio, insieme a Francesco Riso, nel palazzo di Paolo Ruffo, principe di Castelcicala, luogotenente del re di Napoli per la Sicilia. Non basta: l’interrogatorio è condotto anche da Salvatore Maniscalco, direttore di polizia, pre- sente il generale Giovanni Salzano, comandante le Armi della Provincia e della Piazza di Palermo. Come a dire: il gotha borbonico.
Il famigerato Maniscalco non riesce nel suo intento di ottenere una confessione dai due che, nel secondo atto, ritroviamo nel chiostro del convento della Gancia sorpresi dall’attacco borbonico che seda la rivolta sul nascere. Nel terzo e ultimo atto la scena si sposta in una corsia dell’ospedale di S. Saverio dove Francesco Riso, ferito gravemente alla Gancia, sta morendo. Salvatore Maniscalco, nascondendogli la morte del padre, tenterà ancora una volta di farlo confessare. Le 13 vittime, comprendenti anche il padre di Francesco, sono già state infatti fucilate. Di esse fa parte Andrea Coffaro evidentemente catturato, nella finzione del drammaturgo, alla Gancia. Se così è stato, la storia bisogna riscriverla.
A proposito delle 13 vittime Giuseppe Pandolfo scrive: “C’è da sottolineare che si trattò di una esecuzione capitale col 3° grado di pubblico esempio, una esemplarità ormai fuori tempo”. (2) Curiosa e tragica messinscena. Consisteva nel trasporto dei condannati al luogo del supplizio, a piedi nudi, vestendoli di una tunica nera, con un velo nero a coprirgli il volto, e un cartello sulle spalle indicante il misfatto per cui erano condannati. Ancora Pandolfo: “Furono fatti inginocchiare con le spalle al plotone, composto da tre file di tredici soldati. Quando la prima fila sparò ritirandosi dietro la terza, la seconda fece fuoco”. (3) Nonostante le due scariche di fucileria uno degli inginocchiati, ch’era pizzicagnolo al Capo, Sebastiano Camarrone si chiamava, rimase vivo; doveva avere salva la vita ma gli diedero, come agli altri, il colpo di grazia.
Nel 1972 esce Bronte cronaca di un massacro che i libri di storia non hanno mai raccontato. Il film termina con la scena della fucilazione di cinque persone; due file di sei soldati ciascuna, una fila in ginocchio, l’altra in piedi, svolgono il terribile compito. Quei soldati hanno le camicie rosse, non appar- tengono all’oppressore borbonico, sono garibaldini, liberatori. Tra i condannati c’è un tale Nunzio Ciraldo Fraiunco, un tipo strano, matto, o scemo. Con la rivolta di Bronte non c’entra proprio niente. Quando il sacerdote gli si avvicina per fargli baciare il crocifisso, egli si ritrae. Al petto ha una immagine della Madonna, è a lei che si raccomanda, la Madonna del Rosario gli deve fare la grazia. E dopo che le camicie rosse hanno sparato egli non rimane vivo? “La Madonna mi fici la grazia, la Madonna du Rusariu, ora mi l’aviti a fari vui”. Nino Bixio è lì, a cavallo. Fa un cenno all’ufficiale che ha comandato il plotone d’esecuzione. Quest’ultimo spara al matto nella testa con la sua pistola. Il colpo di grazia, come al pizzicagnolo del Capo.
Tra gli sceneggiatori del film va ricordato Leonardo Sciascia. In quella fucilazione, nell’uccisione del matto c’è, sicuramente, la mano dello scrittore il quale aveva letto quello che era stato pubblicato (nella rivista Il Ponte ) del libro Le memorie di uno dei mille di Francesco Grandi che quella tragedia aveva raccontato e Sciascia ne aveva già scritto nel 1963 nell’introduzione a Nino Bixio a Bronte di Benedetto Radice, quell’anno ripubblicato a Caltanissetta da Salvatore Sciascia. Quello scritto, dal titolo Verga e la libertà, si trova ora nell’antologia La corda pazza.
Nella novella Libertà, costruita sui fatti di Bronte, c’era, secondo lo scrittore di Racalmuto “una mistificazione risorgimentale cui il Verga, monarchico e crispino, si sentiva tenuto”. ( 4 )Tra le altre cose (ad esempio l’avere eliminato il personaggio dell’avvocato Nicola Lombardo ch’era tra i cinque fucilati e che in tutti i modi aveva cercato di fermare la strage), spia di questa mistificazione è la trasformazione del matto, cioè di Nunzio Ciraldo Fraiunco, “la cui fucilazione costituisce la pagina più atroce di questa atroce vicenda”, ( 5 ) in un nano. Ma “Verga sapeva bene che non si trattava di un nano ma di un pazzo: il pazzo del paese, un innocuo pazzo soltanto colpevole di avere vagato per le strade del paese con la testa cinta da un fazzoletto tricolore profetizzando, prima che la rivolta esplodesse, sciagura ai galantuomini” ( 6 ) e gridando : “Cappeddi guardativi, l’ura du giudiziu s’avvicina, populu nun mancari all’appellu!”
Biagio Napoli
Note
1-Giovanni Girgenti, La campana di la Gancia, Tumminelli, Palermo 1960, pp. 11-12.
2-Giuseppe Pandolfo, Una rivoluzione tradita. I Siciliani e Garibaldi, Vol. I, Ila Palma, Palermo 1985, p. 147.
3-Ibidem.
4-Leonardo Sciascia, La corda pazza, Adelphi Edizioni, Milano 2007, p. 98.
5)Ivi, p. 100.
6)Ibidem.
Le tredici vittime- di Biagio Napoli
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