Bagheria dei misfatti - di Biagio Napoli

Bagheria dei misfatti - di Biagio Napoli

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Alcune date (con quello che vi avvenne) danno ragione dell’equazione ottocentesca bagariotu- vicariotu.

1820

E’ l’anno della rivoluzione separatista siciliana. Ma don Giuseppe Bonanno, principe di Cattolica e duca di Misilmeri, si schiera dalla parte della monarchia borbonica che lo pone al comando della Guardia di Sicurezza Pubblica. A causa di ciò un gruppo di rivoltosi ne va alla ricerca per ucciderlo; lascia allora Palermo fuggendo, via mare, a Bagheria. Saranno gli stessi barcaioli, non soddisfatti di quanto avevano ricevuto, a tradirlo.

E’ il 17 luglio. Si nasconde presso il principe di Trabia ma, incalzato, attraverso un passaggio segreto è dal curatolo del duca di Serradifalco che si rifugia, celandosi nella sua stanza da letto. Come il Cattolica venisse a questo punto scoperto ce lo dice Nino Morreale citando il Paternò Castello: “…né desistendo quei furibondi dalle loro ricerche una bambina additò loro il nascondiglio…” . (1) A credere invece a Nicola Previteri la caccia al nobile durò fin quando “un ragazzo… si accorse di un piede di un uomo che usciva fuori i materazzi del letto del curatolo".

Alle sue grida di richiamo, gli armati accorsero e il principe fu catturato” . (2) Decidono di condurlo a Palermo; tuttavia, presso palazzo Inguaggiato, nello stradone, verrà ucciso da due uomini appena sopraggiunti, l’uno armato di coltello, l’altro di schioppo. L’uomo che usò lo schioppo ordinò maramaldescamente ad altri armati di sparare sul cadavere.

Scrive Nicola Previteri: “Laggiù, verso la casina Inguaggiato, in una nube di polvere, la gente correva nella luce del sole ancora alto, nonostante il caldo torrido…La notizia filtrò improvvisa nelle casine rigurgitanti di villeggianti che qualche ora dopo, col favore delle tenebre, si svuotarono…Quel cadavere…nessuno ebbe cuore di trarlo dalla polvere per ricomporlo nella sua casina a qualche centinaio di metri più sotto. Soltanto la sera seguente alcuni sacerdoti e galantuomini mossi a pietà gli diedero onorata sepoltura…nella Congregazione del purgatorio…Sull’apporto del “Villaggio della Bagaria” alla rivoluzione separatista del ’20 non ci fu altro”. (3)

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E’ l’anno dell’epidemia colerica. Ci saranno 610 morti su una popolazione di 6800 abitanti. Nel gran caldo del pomeriggio del 12 luglio il popolo di Bagheria è in processione dietro i simulacri di San Giuseppe, Santa Rosalia, e dell’Addolorata. Giunto nei pressi di villa Palagonia, il corteo viene assalito da gente che, da un vigneto di contrada Furnari dov’era nascosta, vi si lancia contro armata d’asce e di roncole.

Tra  gli altri “nella polvere di Palagonia”, secondo Nicola Previteri,rimane anche Onofrio Ventimiglia di 58 anni,  il quale, colpito una prima volta, cercò la salvezza, aggrappandosi al simulacro di San Giuseppe ai cui piedi un demone gli spense gli ultimi aneliti a colpi di roncola con inaudito accanimento”. (4) E, invece, così racconta i fatti Nino Morreale:L’obiettivo è uccidere il medico-chirurgo don Carlo Scavotto e gli altri avvelenatori; nello scontro cadono anche i due fratelli del medico, Vincenzo di 26 anni e Francesco di 13, Onofrio Ventimiglia, Cosimo Gattuso e il pastaio Salvatore Madonia; quest’ultimo colpito a morte si aggrappa alla “vara” di S.Rosalia, ma viene finito a colpi di ronca…”.

(5) E allora? Era Onofrio Ventimiglia il malcapitato o era, invece, Salvatore Madonia? E a quale santo, o l’uno o l’altro, s’erano votati? Francesco Michele Stabile scrive , dando ragione a Nino Morreale, che a cercare  protezione nei santi è il pastaio e che, invece che al Patrono, “Salvatore Madonia si aggrappa alla vara di S. Rosalia dove viene finito con un colpo di roncola”. (6) Il fatto, sotto qualunque santo si sia svolto e chiunque abbia riguardato, mostra l’inaudita violenza dei componenti di quella banda che, quel giorno, mise a ferro e fuoco l’intero paese uccidendo, devastando , distruggendo gli archivi degli studi notarili.

Non era soltanto uccidere gli untori il fine di quella  violenza ma, soprattutto, i “civili”. Scrive ancora Nino Morreale: “In quelle carte stanno scritti, con le parole incomprensibili della “legge”, l’abuso e la truffa; i nuovi ricchi che si stanno mangiando a pezzi e bocconi le terre dei baroni e che di quei vecchi padroni non hanno (né potrebbero) lo “stile” o, se si vuole, la carità pelosa. Al paternalismo del principe di Butera- che spesso era sopravvivenza per i “morti di fame”- si è sostituito o magari aggiunto, lo “sfruttamento aperto, spudorato, diretto e arido dei civili”. E allora Vola vola nni sta ‘mpara cutiddati a li nutara: e’ il “sovversivismo popolare come risposta al sovversivismo “legale” delle classi dominanti”. (7)

(continua...)

                                                                                                                             Biagio Napoli


Note
1-Antonino Morreale, La vite e il leone, Editrice Ciranna, Palermo 1998, p. 372.
2-Nicola Previteri, Don Gesualdo Pittalà sindaco e galantuolo borbonico, Assessorato ai beni culturalidel Comune di Bagheria, 1997, p. 156.
3- Ivi, p. 157.
4- Ivi, p. 104.
5-Antonino Morreale, op. cit. p.392.
6-Francesco Michele Stabile, La parrocchia della Bagaria dallo spazio del principe al patronatomunicipale (1708-1858), in Le acque del Salvatore nel villaggio di delizie della Bagaria. Atti del convegnocelebrativo del 300° anniversario della fondazione della parrocchia della Natività della Beata VergineMaria, a cura di Rosario Scaduto e francesco Michele Stabile, 13 febbraio 2009, Provincia Regionale di Palermo, p. 49.
7-Antonino Morreale, op. cit. , p.392-393.