No, caro Angelo, le nostre memorie non divergono affatto. Ricordiamo le stesse cose. Tu dici che nel Consiglio comunale del 30-11-92, durante il quale componenti non di secondo piano della società civile furono gratuitamente offesi, «esponenti del P.C.I. e della D.C., parlarono un linguaggio rancoroso, rude e primitivo».
Il mio ricordo non è diverso dal tuo. Anche se all’epoca ne ho sofferto.
Seguii su una televisione locale i lavori di quello stupido e autolesionistico consiglio e presi qualche nota che mi ritrovo tra le mie carte.
Un consigliere comunista tuonò: «questi pseudointellettuali, che non fanno gli interessi del paese, debbono rispondere davanti alla storia». Proprio così! Nessuno di noi era intervenuto da intellettuale, vero o presunto. (A me la parola intellettuale dà pure fastidio.)
La realtà è che un gruppetto di bagheresi aveva invitato, con un intervento giornalistico, amministrazione comunale e Fabio Carapezza Guttuso a mettere da parte avvocati e tribunali e a ragionare avendo come stella polare la tutela del patrimonio artistico che Guttuso aveva donato ai bagheresi.
È bene ricordare i nomi dei bagheresi che coltivavano il progetto perverso di privare Bagheria del patrimonio di Guttuso: Antonino Buttitta, Pietro Buttitta, Vincenzo D’Alessandro, Tommaso Di Salvo, Salvatore Lo Bue, Franco Lo Piparo, Ezio Pagano, Natale Tedesco.
La divergenza, se c’è, non ha a che fare con la memoria ma con le differenti culture politiche che ispiravano allora i nostri rispettivi comportamenti.
Democristiani e comunisti ritenevano – do per scontata la buona fede – che quel patrimonio poteva essere gestito al meglio se il controllo fosse rimasto saldamente in mani politiche. Gli altri, memori anche del modo pessimo in cui quel patrimonio, vivo Guttuso, era stato gestito, auspicavano una gestione tecnica, entro determinati limiti autonoma, di quel patrimonio.
È vero, da parte nostra c’era una sfiducia, più che motivata, nelle capacità manageriali del ceto politico.
Pensavamo che il vincolo esterno della presenza determinante degli eredi di Guttuso nella gestione del Museo potesse agire da stimolo alla buona amministrazione e deterrente dall’occupazione clientelare. Il nuovo assetto, splendido!, di Villa Cattolica, che domenica scorsa è stato inaugurato è una prova del fatto che avevamo ragione.
Caro Angelo, tu, dopo aver registrato gli «innegabili successi» di quella che tu chiami «direzione monolitica e centralistica del Museo» (io non userei queste parole) che «di fatto ha sottratto il controllo della struttura all’organo consiliare», ti chiedi: «E’ stato un bene?» Rispondi «È difficile dirlo». E aggiungi dubbioso: «Forse sì».
È così difficile dirlo? La gestione tutta politica della raccolta dei rifiuti (COINRES e altre diavolerie di sigle) non ti aiutano a dare una risposta?
La qualità delle culture politiche si legge sui risultati.
E se leggessimo lo splendore dell’attuale Villa Cattolica e del Museo Guttuso come il risultato, non casuale, di una cultura politica opposta a quella con cui i politici del COINRES amministrano la raccolta dei rifiuti?
Caro Angelo, mi piacerebbe sapere che su queste questioni, oggi, la pensiamo allo stesso modo.