Tornatore, regista di film musicali e filosofici- di Franco Lo Piparo

Tornatore, regista di film musicali e filosofici- di Franco Lo Piparo

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Proponiamo ai lettori di Bagherianews l’articolo di Franco Lo Piparo apparso su “Le nuove frontiere della scuola”, n. 59, novembre 2022.

Inizio dalla fine, da un ricordo autobiografico e dall’ultimo film Ennio.

A Giuseppe Tornatore l’Università di Palermo conferì, nel 2013, la laurea honoris causa in filosofia. Quando avanzai la proposta diversi colleghi mi criticarono: Tornatore filosofo? È una stonatura, diamogli piuttosto la laurea in antropologia o in storia o in letteratura italiana. Alcuni sottovoce aggiunsero che si trattava di uno scambio di favori tra compaesani.
I colleghi allora perplessi si saranno ricreduti. Dopo Una pura formalità, La leggenda del pianista sull’oceano, La migliore offerta ma anche Nuovo Cinema Paradiso e Baaria (sì, anche questi film sono riflessioni filosofiche) Tornatore ci ha regalato con Ennio un’altra straordinaria perla filosofica.
Questa volta l’argomento filosofico messo a fuoco è un tema specialistico: i fili robusti che legano insieme la parola parlata, l’immagine e la musica. Ennio il problema, difficilissimo e dibattutissimo in filosofia e nelle scienze cognitive, lo tratta senza ricorrere a paroloni (filosofemi, vengono chiamati scherzosamente) ma raccontandoci la storia del compositore Ennio Morricone.

L’immagine, la parola, la musica

Immagine, parola e musica – lo sappiamo ancora meglio adesso – nascono insieme. Non c’è tra loro un prima e un dopo. L’animale parlante compare sulla terra quando un quadrupede assumendo una postura eretta trasforma le zampe anteriori in mani. Voce linguistica e mani nascono insieme. Non a caso parliamo anche con la gestualità delle mani. Grazie anche alle mani l’animale bipede può riprodurre sulle pareti di una grotta o sul terreno immagini che perdurano nel tempo. Pittura, scultura e cinema affondano qui le loro remote origini. Le mani sono la condizione necessaria della tecnologia della riproduzione del mondo in immagini pubbliche di cui il cinema è l’ultimo, in senso cronologico, dei prodotti. Immagine e parola sono inseparabili.
La parola parlata a sua volta, essendo per natura fatta di suoni strettamente connessi col ritmo respiratorio (la voce – aveva già spiegato Aristotele – altro non è che rimodulazione, regolata dal ritmo cardiaco, dell’aria espirata), nasce a sua volta musicale.
Parola, immagine e musicalità sono inseparabili. Questi nessi inestricabili sono stati ben studiati e non è questo il luogo per approfondirli. Interessa qui accennare a un altro aspetto notato da Nietzsche. Immagine e fonicità ritmata nel tempo ossia musica si erano specializzate all’inizio della cultura occidentale in arti distinte e separate: la scultura (e – va aggiunta – la pittura) che il filosofo tedesco chiama arte apollinea e la musica che chiama arte dionisiaca.
Do la parola a Nietzsche: «(…) nel mondo greco sussiste un enorme contrasto, per origine e per fini, fra l’arte dello scultore, l’apollinea, e l’arte non figurativa della musica, quella di Dioniso: i due impulsi così diversi procedono l’uno accanto all’altro, per lo più in aperto dissidio fra loro e con un’eccitazione reciproca a frutti sempre nuovi e più robusti, per perpetuare in essi la lotta di quell’antitesi, che il comune termine “arte” solo apparentemente supera» (Nascita della tragedia). L’opposizione verrà superata nel teatro tragico attico, «opera d’arte altrettanto dionisiaca che apollinea».

Il film musicale

Due millenni e mezzo dopo Eschilo, Morricone compie nell’arte cinematografica la medesima sintesi di apollineo e dionisiaco di cui parla Nietzsche. Il risultato è un nuovo genere d’arte: il film musicale.
Come definire un film musicale? Partiamo da un esempio eccelso: C’era una volta in America (1984) di Sergio Leone. Provate a vederlo con e senza la colonna musicale: vedrete due film diversi con significati diversi. Nel film musicale non c’è la storia raccontata con immagini e dialoghi a cui solo quando il film è stato già girato e montato si aggiunge il commento musicale. Nel film musicale la musica nasce ancor prima che la sceneggiatura scritta si trasformi in sequenze di immagini. «Da un certo punto in poi, [Sergio Leone] la musica l’ha voluta prima di girare, ed è stata una buona abitudine» – racconta Morricone a Tornatore nel fitto dialogo tra il musicista e il regista nel libro Ennio un maestro (HarperCollins, 2018). Alcune scene fondamentali del film – apprendiamo da questo straordinario libro – sono state suggerite dalla musica che Morricone aveva composto leggendo i primi abbozzi della sceneggiatura e, in alcune, gli attori hanno recitato ascoltando la stessa musica che lo spettatore ascolterà quando vedrà la scena.
È lo stesso Morricone a spiegarci il duplice rapporto che la musica può avere col cinema:
«Spesso si parte guardando il film che è già stato montato (o pre-montato) e che va soltanto musicato e, insieme, al regista, si prendono i tempi, si discute il tutto. Altre volte invece, ma meno spesso, le musiche nascono prima, dalla sceneggiatura o addirittura dal dialogo con il regista, che mi parla del suo progetto in uno stadio ancora precedente alla sceneggiatura e mi descrive la situzione, i personaggi, le idee che ha …». Questo accade raramente: «con Leone, Tornatore e pochi altri ho lavorato così» (Ennio Morricone inseguendo quel suono, Conversazioni con Alessandro De Rosa, Mondadori2016).

Molti dei film di Tornatore sono musicali nel senso che lo spettatore capisce subito che musica, dialoghi e immagini vi sono indistinguibili: tra essi non c’è un prima e un dopo. Una pura formalità (il film più denso di filosofia di Tornatore), La leggenda del pianista sull’oceano, La migliore offerta ma anche Nuovo Cinema paradiso ne sono esempi di straordinaria fattura.
Questo è accaduto grazie alla straordinaria sintonia, culturale e affettiva, tra Ennio e Peppuccio nonostante il non irrilevante numero di anni che separa l’uno dall’altro: Morricone è della generazione del 1928, Tornatore nasce nel 1956. Ventotto anni di differenza, la distanza temporale che separa il padre dal figlio. È il padre a confessarlo al figlio:

"Mi sono trovato bene con molti registi, ma mai come con te. E posso spiegarlo. Conta il tuo talento, la tua amicizia, la tua fiducia, e poi per me conta tantissimo il tuo progresso, la tua capacità di capire di più dopo ogni film, fare osservazioni utili, anche preziose. Con Gillo [Pontecorvo] andava benissimo, con altri registi andava bene, (…). Tu non sei di quella razza, tu sei andato avanti. Mi trovo bene a lavorare con te perché la tua competenza è più grande, la tua curiosità più raffinata.

Nell’età più matura, tu sei sicuramente il regista con cui sono più affiatato. Poco a poco è cresciuta la fiducia, la stima. Si sono conosciute anche le nostre famiglie, è il mio rapporto più giusto, così anche il lavoro viene meglio. Io ho bisogno di sentire la fiducia, Peppuccio. So che posso sbagliare, ma la fiducia del regista mi incoraggia a usare soluzioni qualche volta un po’ complesse. (…) Sì, io penso che l’amicizia possa migliorare anche l’esito creativo".

Morricone e Tornatore: du figure speculari

Morricone a Tornatore: «tu sei sicuramente il regista con cui sono più affiatato». Tornatore risponde a Morricone con Ennio. E se Ennio fosse anche un film autobiografico?
Conosco Peppuccio Tornatore da quando era ragazzo. Credo di conoscere abbastanza i suoi anni di formazione a Bagheria non solo perché ne ha parlato in Nuovo Cinema Paradiso e Baaria ma anche per conoscenza diretta. Ho frequentato abbastanza il padre Pippinu, dirigente comunista locale ma con buoni collegamenti, politici e culturali, nazionali.
Tutte queste conoscenze sono riaffiorate quando ho visto Ennio e ho letto Ennio un maestro. La biografia di Morricone raccontata da Tornatore si sovrappone in più punti con quella di Tornatore. Il figlio che si identifica col proprio padre spirituale. Vediamo.
Nel film Tornatore parla poco di se stesso e però racconta anche se stesso. Ennio Morricone è lo specchio in cui Tornatore proietta l’immagine della propria avventura intellettuale: stessa origine modesta, stessa determinazione, stessa capacità di autodisciplina, stessa ambizione di ritagliarsi un proprio spazio nel circuito intellettuale. Soprattutto stessa consapevolezza del proprio talento.
Mi soffermo su alcuni aspetti particolari.
L’infanzia e la giovinezza.
Ennio adolescente scrive canzoni per le orchestre locali; Peppuccio fa i servizi fotografici per i matrimoni del paese. Ennio fa il trombista nelle orchestre locali; Peppuccio fa il proiezionista nei cinema di Bagheria e dintorni. Entrambi per sostenersi economicamente ed essere autonomi dalla famiglia.
Stesso rapporto forte col padre. Il padre di Ennio faceva il trombista nelle orchestre locali («Credimi, era un trombista straordinario, me ne sono reso conto quando ho suonato al suo fianco, era richiestissimo») e iniziò il figlio all’uso della tromba. Il padre di Peppuccio attivista comunista iniziò il figlio all’impegno politico (Peppuccio giovanissimo fu consigliere comunale) e portò per la prima volta il ragazzino Peppuccio in un locale cinematografico: «L’amore per il cinema lo devo a mio padre. Al Supercinema mi ci portò lui per la prima volta, avevo appena quattro anni, e da allora non cercò mai di contrastare la mia ossessiva frequentazione di sale cinematografiche» (Diario inconsapevole, HarperCollins 2017).
Stesso rapporto intenso ed esclusivo con la propria attività creativa e la famiglia. Ennio confessa al figlio Peppuccio: «La famiglia e la musica sono stati una compagnia straordinaria». Peppuccio potrebbe ripetere di se stesso: «La famiglia e il cinema sono stati una compagnia straordinaria».
Ennio e Peppuccio diventano quello che i loro rispettivi padri avrebbero voluto essere o, freudianamente, quello che i figli pensano avrebbero voluto o potuto essere i loro padri.

Il tempo: immagine mobile dell’eternità

In occasione della laurea honoris causa conferitale dall’Università di Palermo Tornatore tenne una lectio magistralis, molto elaborata e molto dotta, sull’organizzazione del tempo nei racconti cinematografici. Andrebbe pubblicata. Contiene diversi spunti di riflessione su cui varebbe la pena tornare alla luce di Ennio.
Sono andato a rileggerla e riascoltarla per scrivere questo articolo. Tra la lectio palermitana e Ennio c’è un intervallo di nove anni. Si aggiunga anche che la lectio non si occupa, salvo una volta en passant, di musica e del ruolo che la musica svolge nella produzione di un film. E però, se letta attentamente, vi si trova la chiave filosofica dell’incontro fatale della filmografia di Tornatore con la musica di Morricone.
La tesi di Tornatore è che nel racconto filmico l’organizzazione lineare del tempo (il passato che precede il presente che precede il futuro) viene “sgretolata”, “manipolata”, “contraddetta”, “falsificata”: sono i termini usati dal laureando ad honorem. Il tempo lineare lo chiama “tempo reale” o, più correttamente, «concetto tradizionale del tempo». Ci sarebbe molto da dire sul tempo reale come susseguirsi lineare di momenti successivi. Einstein, ad esempio, non sarebbe d’accordo. Con argomentazioni diverse non sarebbe d’accordo nemmeno Freud. Ma per l’argomento che stiamo trattando il punto importante è altro.
Nel racconto filmico passato, presente e futuro si sovrappongono in maniera inestricabile: «la dimensione cronologica è sgretolata, salta di continuo nel passato e nel presente, lascia che gli episodi si sovrappongano e che uno stesso episodio sia un prisma con molte facce». L’andiriviene circolare tra passato e futuro tramite il presente è reso possibile nel cinema grazie al montaggio. Il regista quando monta le scene del film dà al racconto un ordine che ‘sgretola, manipola, contraddice, falsifica’ l’ordine lineare del prima e del dopo: ciò che nella vita reale è accaduto dopo può essere presentato prima perché solo a partire dal dopo il prima acquista senso.
Tornatore nella lectio: «se il cinema esiste grazie alla sua capacità di annientare il tempo, e se anche la vita reale ha delle analogie con il codice narrativo del cinema, avevano ragione quei filosofi che asserivano l’inesistenza del passato e del futuro». Ne abbiamo parlato diverse volte in privato: gli argomenti di Tornatore non sono la prova dell’inesistenza del passato e del futuro. Sono la conferma della definizione acutissima del tempo, anche se i suoi sensi non sono chiarissimi, che Platone dà nel Timeo: il demiurgo col tempo ha voluto creare «l’immagine mobile dell’eternità».
La filmografia di Tornatore per buona parte ruota attorno a questa idea platonica del tempo. Se ne potrebbe scrivere un saggio. La esemplifico con una scena che mi ha colpito fin dalla prima volta che l’ho vista.
In una delle ultime scene di Baarìa si vedono due bambini della stessa età che corrono l’uno nella direzione dell’altro. I loro percorsi sono paralleli e opposti. In un determinato momento della corsa i loro sguardi si incrociano, si scambiano un fugace sguardo di intesa e proseguono ciascuno nella propria direzione. Uno dei due bambini è il padre, l’altro è il figlio: il piccolo Peppino, vaccaro e figlio di vaccaro, e il figlio di Peppino, futuro premio Oscar. Due bambini, padre e figlio, che sono lo stesso bambino. Il passato e il futuro: «l’immagine mobile dell’eternità».
Quando l’ho vista, la scena mi emozionò come figlio e come padre ma anche come persona abituata a riflettere per mestiere sulla questione del tempo. Resterà nella storia del cinema filosofico.
E Morricone? La musica è l’esempio più alto del tempo immagine mobile dell’eternità. La musica si svolge nella durata lineare della temporalità e però in essa futuro, passato e presente si aggrovigliano e si intersecano in un ordine che ‘sgretola’ e ‘contraddice’ l’ordine del prima e dopo. Il tempo della musica è circolare esattamente come il tempo dei film di Tornatore. Il tratto dionisiaco del ritmo musicale spiega la straordinaria intuizione di Pasolini che Morricone amava ripetere: la musica è in grado di «sentimentalizzare un concetto e concettualizzare un sentimento».
La definizione platonica (il tempo è immagine mobile dell’eternità) in Morricone è riformulata in “i suoni musicali sono l’immagine mobile del silenzio”: «Se c’è un segreto cercalo nel silenzio. Perché il silenzio è musica, almeno quanto i suoni, forse di più. Se vuoi entrare nel cuore della mia musica, cerca tra i vuoti, tra le pause. Ogni suono è soltanto la pausa di un silenzio. La mia musica parte da qui, Peppuccio, da questa idea».

Sono sempre più convinto della buona idea dell’Università di Palermo di conferire a Tornatore la laurea in scienze filosofiche.

Franco Lo Piparo 

Professore Emerito Università di Palermo