Alzare gli occhi dal libro che si è appena letto e non riconoscere il mondo che ci circonda o, meno drammaticamente, vederlo sotto una luce nuova, percepirne tratti e situazioni che,
"Spesso, per cominciare a scrivere, tutto quello di cui hai bisogno è un’idea, un germe, un’immagine, un cenno, il riconoscimento di un momento, una scusa che valga per tutto quello che hai pensato di raccogliere o organizzare in giro, e tutto va a posto”.
A voler tentar di ripercorrere il processo creativo che sta dietro l’ultima raccolta di racconti dello scrittore palermitano Marcello Benfante, questa osservazione del narratore anglo-pakistano Hanif Kureishi potrebbe risultare molto utile. Puntualmente, infatti, leggendo Cassata a orologeria (Gaffi Editore, Roma, 2008, € 12.00) si ha l’impressione che ognuno di quel racconti sia l’espansione massima , a cerchi concentrici, ricorsiva, di un’idea forte, di un’unica immagine che condensa in sé tutto lo sviluppo successivo della narrazione.
La vena più autentica di Benfante, secondo noi, è quella del fantastico : di quel fantastico il cui dinamismo non si appiattisce sulla facile – e ampiamente codificata, e mercificata, dal fantasy – proiezione di trame, dense soltanto di un’arida sequenzialità da blockbuster, in un mondo alternativo, radicalmente altro, ucronico o utopico, rispetto a quello del lettore. Benfante sa bene, troppo bene – ché come tutti i grandi narratori è anche enciclopedico e raffinato lettore – che il motore generatore del fantastico risiede nell’attenzione spiritata, divergente, parossistica a volte, per i particolari. Un fantastico non dichiarato,opaco, che accade di incontrare nel cuore stesso dell’ordinarietà, come ci ha ben insegnato Stephen King. A partire da ciò, basta un leggero, inavvertito scarto dalla norma, o dal senso comune, per innescare l’andamento a climax che rende la lettura irresistibile, ipnotica, sapienziale. Fantastica. “L’orizzonte nel quale si inserisce l’opera letteraria è la verità comune intesa come rivelazione”.
Il rapporto nevrotico con lo spazio, ovvero l’impossibilità di vivere una vita pubblica, che è anche, ovvio, condivisione di spazi ed esperienze. Sembra questo l’assunto, l’idea da cui muovono alcuni racconti di questa raccolta.
Locus Solus, ad esempio. Un io-narrante straniato e agorafobico comincia a raccontarci il rapporto problematico con gli spazi della sua città. Ama passeggiare ma, progressivamente, riduce , contiene, il raggio di quelle passeggiate fino a ridurlo a un girovagare attorno a un paio di isolati vicino casa sua. C’è una topografia cittadina che lo atterrisce, e con la quale non vuole avere nulla a che fare.
“In primo luogo evitavo i punti cardinali di un’ideale topografia dei lutti cittadini: gli angoli infiorati, le lapidi in memoria di vittime illustri o anonime, i cippi, le vie ribattezzate con i nomi dei martiri di questa guerra senza fine o stravolte dagli attentati, e ogni altro luogo sigillato indelebilmente dalla morte e dal terrore…La mia città è ormai diventato un enorme cimitero, e forse tutti noi che l’abitiamo non siamo che morti che camminano e che non sanno di essere morti e che hanno paura di morire, ma forse questa paura non è del tutto assurda. Forse si possono uccidere anche i morti, si può morire infinite volte”.
Per sfuggire a tale nevrotico memento mori che sembra levarsi da ogni punto della città, l’Io-narrante, come un personaggio di Auster, si rintana dentro il proprio appartamento. Dove si sottrae, anzitutto, al rapporto anch’esso problematico con i concittadini/ morti che camminano. Anche questo non gli sarà sufficiente.
Il grande romanziere israeliano Abraham Yehoshua sostiene che ogni opera artistica che descrive rapporti , relazioni umane, coinvolge inevitabilmente un aspetto morale: per questo la letteratura, di tanto in tanto, diventa il terreno privilegiato della discussione sui comportamenti dell’uomo. E ciò indipendentemente dal genere e dallo stile scelti dall’autore.
I racconti di Benfante nascono tutti da quello scatto morale che precorre ogni morale di cui diceva la Bachmann.
Perché Benfante è un autore di cifra fantastica e di tempra autenticamente civile: ma la sua indignazione, che traluce anche dai testi più eterodossi, è sempre sorvegliata, amara, sciasciana. Una cifra – quella del fantastico civile propria dello scrittore palermitano– che vien fuori dall’intuizione che esista una parentela certa tra la fantasia morale e quella critica. E che tale parentela si raggrumi al meglio nella fantasia narrativa. Non lo aveva già detto Aristotele nella sua Poetica?
E non era già il suo – quello del precettore di Alessandro Magno – un tentativo di recuperare la separazione tra estetica e morale decretata da Platone e che in tanti, oggi, vorrebbero perpetuare?
“Descrivendo un oggetto, un avvenimento, un personaggio, lo scrittore non formula una tesi, ma stimola il lettore a farlo: propone e non impone, lasciandolo così libero e al tempo stesso invitandolo a essere maggiormente partecipe. Con un utilizzo evocativo delle parole, con il ricorso alle storie, agli esempi, ai casi particolari, l’opera letteraria produce un turbamento dei sensi, mette in moto il nostro apparato di interpretazione simbolica, risveglia le nostre capacità di associazione e provoca un movimento le cui onde d’urto proseguono a lungo dopo l’impatto iniziale”
Marcello Banfante è nato a Palermo nel 1955.
Suoi racconti sono apparsi nell'antologia Luna nuova (Argo, 1997) a cura di Goffredo Fofi, in Sicilia fantastica(L'ancora del mediterraneo, 2000) e in Dalla parte degli animali (L'ancora del mediterraneo, 2004), di cui è anche curatore. Ha pubblicato i ormanzi brevi Cinopolis (Moby Dick, 2006) e L'ultima fuga del Professor Severini (Di Girolamo, 2006). Interviene sulle pagine regionali siciliane del quotidiano La Repubblica come opinionista e critico letterario, collabora al mensile Lo Straniero e fa parte della redazione della rivista Segno.
L'ultimo suo libro è la raccolta di racconti Cassata a orologeria (Gaffi, 2008).
L'incontro con Marcello Benfante si svolgerà Lunedi 27 Ottobre alle ore 18.00 al Teatro Branciforti
Maurizio Padovano