Da noi richiesto Franco Lo Piparo, docente di Filosofia del linguaggio all'Università di Palermo ci ha consegnato questo personale ricordo della figura umana di Umberto Eco.
Dello studioso Umberto Eco non è il caso di spendere troppe parole. Nei decenni a venire la cultura occidentale se ne occuperà a lungo. È l’uomo Eco che a me piace ricordare in questo momento. Il suo stile di vita sobrio, semplice ma anche severo.
Sempre pronto alla battuta e all’autoironia. Quando mi invitava a tenere lezioni a San Marino e nella sua Bologna non avevo mai l’impressione di stare discutendo con un mostro sacro del pensiero filosofico-linguistico.
Ti ascoltava con l’umiltà che solo i grandi uomini sanno avere, prendeva in considerazione e discuteva paritariamente gli argomenti che qualche volta capitava di rivolgergli contro.
Tra i tanti due episodi che mi sono accaduti.
Gennaio 1995. Mi invita a tenere una lezione all’Università di San Marino che allora dirigeva. Aveva preso posto tra il pubblico. La sua presenza mi intimidiva e, mentre parlavo, lo tenevo d’occhio. Vedevo che era chino a scrivere su un foglio di carta. Siccome escludevo che dicessi cose tali da meritare di essere trascritte da Eco ho pensato che stesse scrivendo il suo articolo settimanale per “L’Espresso”. La cosa non mi lusingava affatto. Finita lezione e discussione, mentre ci incamminiamo verso il ristorante mi mostra dei foglietti in cui aveva rappresentato in vignette le idee che avevo provato a esporre. Me le ha regalate e le conservo gelosamente insieme ad altre ricevute in altre occasioni. Sono disegnate da un professionista della grafica.
Anno 1980 o 1981. Erano i mesi in cui era appena esploso il boom internazionale de 'Il nome della rosa'. Dopo un pranzo a Porticello ci spostiamo a casa mia. Ci racconta che parti del romanzo le aveva scritte collazionando dialoghi provenienti da romanzi d’appendice a volte anche di quart’ordine. Era orgoglioso del fatto che alcune sue fonti non erano state individuate.
Io e mia moglie avevamo comprato un video-giochi per i le nostre figlie. In verità ci giocavamo noi. Era un apparato rudimentalissimo se confrontato con quello che adesso si può fare coi computer ma si trattava di una novità. Lo vuole provare. Tutto il pomeriggio ha giocato con la passione di un bambino. Era molto più bravo di noi.
Era uno straordinario personaggio. Con invidia l’ho visto ballare e cantare in cene private. Suonava il flauto dolce. Amava raccontare barzellette, anche in inglese e in francese. La conversazione con lui era sempre leggera e coltissima. Se ne usciva sempre arricchiti. Un grande intellettuale così chissà l’Italia quando lo riavrà
Francesco Lo Piparo