"La zona grigia": l'antimafia arranca sotto lo scirocco

"La zona grigia": l'antimafia arranca sotto lo scirocco

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Sarà per il gran caldo, o per la campagna elettorale, o per il contemporaneo svolgimento del consiglio comunale, fatto sta che siamo solo una quarantina alla presentazione del libro di Nino Amadore, "La zona grigia" professionisti al servizio della mafia,
svoltasi mercoledì pomeriggio a Bagheria a Palazzo Aragona Cutò.

Nino Amadore, giornalista del Sole 24 ore, diventato dalle nostre parti un nome noto, per l'intervista alla dirigente dell'Ufficio Tecnico di Bagheria Marina Marino, laddove quest'ultima stigmatizzava l'isolamento in cui sulla questione delle ex poste era stata costretta dal voto del consiglio comunale.
Ed è un male, perchè accanto alle cose note e rituali che si ascoltano alla presentazione di questi libri sulla mafia, sono state dette cose anche originali e interessanti.
Tra i presenti oltre al sindaco Biagio Sciortino, una quindicina tra consiglieri e assessori, quasi tutti del centrosinistra, con la sola "civica" Caterina Vigilia.

Con l'assessore alla legalità Gianfranco Liccciardi a coordinare gli interventi, inizia Vincenzo Drago curatore del periodico "Il nuovo paese", che ricostruisce in maniera meticolosa gli snodi fondamentali attraverso cui è passato il rapporto mafia-politica-colletti bianchi negli ultimi trenta anni a Bagheria, e partendo dalla lottizzazione "La Pineta" del girato di Villa Trabia , come uno dei momenti cruciali attraverso cui si potranno "leggere" molte delle vicende e degli intrecci politico- mafiosi degli anni successivi.

E poi gli scioglimenti dei consigli comunali, e le relazioni ispettive che hanno sempre segnalato le commistioni e le cointeressenze tra imprenditoria , politica e cosa nostra, da Leonardo Greco ed il cavaliere Michelangelo Aiello, a Scianna e Giammanco, sino ai fatti più recenti legati all'ing. Michele Aiello.

Il p.m. Maurizio De Lucia tratteggia invece le "differenze" profonde tra la mafia siciliana e le 'ndrine calabresi e la camorra campana, organizzazioni criminali forse più sanguinarie di "cosa nostra", ma che non hanno la stessa organizzazione unitaria e verticistica, sono più frammentate, e non hanno lo stesso rapporto con la società "civile" quella della politica delle professioni e degli affari, che ha la mafia siciliana.

Perchè - aggiunge De Lucia - cosa nostra è strutturata come uno stato: le famiglie e le commissioni su base locale e provinciali, ed ha praticato da sempre l'arte della mediazione, che cerca l'accordo, che si insinua , che coinvolge.
L'eccezione corleonese
- come De Lucia la definisce - cambia questo modo di essere della mafia:
I corleonesi hanno lanciato una sfida allo Stato, con le stragi di Falcone e Borsellino: però almeno dal 1992 in poi cosa nostra ha trovato negli organi statuali una risposta alta, decisa e continua.

L'ala militare di cosa nostra, ha ricevuto, secondo De Lucia, colpi durissimi, ma la mafia non è affatto sconfitta: continua a tessere rapporti e affari, continua a impaniare, riformula schemi organizzativi, cerca di sostituire i capi e i gregari che vengono arrestati, studia nuove strategie criminali, non cessa di essere mafia.

Un riferimento anche agli Ordini professionali, dei medici, degli avvocati, dei commercialisti, che hanno avuto un ruolo negativo e di freno nell'isolare quei loro associati che risultavano imputati e condannati in processi di mafia.

Ed è questo uno dei temi che Nino Amadore, sviluppa nel suo intervento e nel suo libro: gli ordini -conclude Amadore - hanno un ruolo importante, ed una condanna della mafia che possa trovare un riscontro nei codici deontologici, avrebbe un effetto enorme.
Non dovrebbe essere più accettabile che un commercialista, sospettato di avre riciclato denaro dei suoi clienti, possa rispondere: ma mica posso chiedere la fedina penale ai miei clienti!

Che è quello che è veramente accaduto, anche a figure che poi hanno fatto carriera nella politica.