C’è un signore, palermitano d’origine ma attualmente domiciliato in Belgio, che possiede alcuni documenti, cimeli e ventidue lettere inviate a Luigi Bavin Pugliesi da protagonisti del risorgimento siciliano, nel periodo della conquista di Palermo e della Sicilia. Bavin Pugliesi, capo della guerriglia bagherese, fu maggiore della Divisione Medici e dopo che Garibaldi sciolse le squadre siciliane, venne assassinato a Bagheria la mattina del 3 luglio del 1860.
Il signore di cui sopra si chiama Renato De Bauyn, discendente di Ludovico De Bauyn, fratello di Luigi: da Ludovico, anch’egli combattente nella campagna garibaldina (fu col generale fino al Volturno), per successivi passaggi ereditari, ha ricevuto il materiale riguardante il maggiore assassinato.
Sul valore storico del ritrovamento delle lettere e degli altri documenti, fatto già di per sé eccezionale, tornerò a parlare dopo i dovuti riscontri sui contenuti e dopo un’attenta analisi delle circostanze e del contesto in cui sono stati scritti. Qui mi limiterò a fare riferimento solo ad uno di questi documenti, mentre per quanto riguarda i cimeli, essi sono costituiti da un ritratto ad olio dello stesso maggiore, dalla sua sciabola e da una bandiera ormai scolorita .
Questa bandiera dovrebbe essere quella che Luigi Bavin Pugliesi piantò sulla barricata di Porta Termini, oltrepassandola per entrare a Palermo, la mattina del 27 maggio 1860. E’ ormai storica e irrisolta la diatriba riguardante chi per primo abbia piantato il tricolore su quella barricata. Un argomento intrigante, in parte affrontato nel saggio "Ladri ed eroi. Considerazioni su alcuni fatti e personaggi del maggio 1860" (1) in cui sono stati interrogati alcuni singolari episodi del nostro risorgimento.
Ora il ritrovamento di questa bandiera ci spinge a ritornare sul tema, sempre con lo scopo di cercare la verità storica, evitando di mistificare o manipolare fatti e personaggi.
Tre sono i combattenti che si contendono l’onore della “prima bandiera”: il Pugliesi, naturalmente, Il carabiniere genovese Francesco Carbone (2), il picciotto di Altavilla Francesco Santangelo (3).
Strenuo sostenitore del Pugliesi è lo scrittore Luigi Natoli che, con il nom de plume di Maurus, qualche anno prima della “candidatura” dell’altavillese (4), scrive nel 1925 : “Or qui bisogna ristabilire la verità storica; perché gli scrittori di storia…parlando della prima barricata di Porta Termini, assalita e oltrepassata, ricordano soltanto Francesco Nullo, che fu il primo a saltarla, a cavallo, e dopo di lui Domenico Carbone genovese…Ebbene la verità è che il secondo a saltare la barricata, dietro a Nullo, e ad entrare in città fu Luigi Bavin Pugliesi; e fu lui che vi piantò il tricolore, e consta da documenti… ” (5).
Naturalmente il Carbone si chiamava Francesco e non, come riportato dal Natoli, Domenico; quanto ai documenti che proverebbero quanto egli afferma, probabilmente sono costituiti proprio dalla certificazione di Pasquale Mastricchi posseduta dalla famiglia De Bauyn con cui il Natoli ebbe contatti e che è in possesso di Renato De Bauyn.
Pasquale Mastricchi, aiutante di campo del generale La Masa e capo magazziniere del Corpo Cacciatori dell’Etna e Guerriglie Siciliane, il 15 luglio 1860, scrive: “…Il signor Luigi Bavin Pugliesi… quando le guerriglie cominciarono a marciare verso Palermo…era armato di un trombone ed un altro della sua guerriglia portava la Bandiera Tricolore della redenzione. Arrivato a metà strada però il Bavin Pugliesi si fece consegnare la bandiera e diede all’uomo che fino a quel momento l’aveva portata il suo trombone. Fugati i borbonici dal Ponte dell’Ammiraglio… erano già al quatrivio di Porta Termini… quando un uomo dei Mille a cavallo…non curando la mitraglia continuata…va a portarsi vicino Porta Termini esortando i nostri e i Mille ch’erano in quel punto ad entrare in città. Bavin Pugliesi dal passaggio di quell’uomo passa egli pure, il sottoscritto passa il terzo con Filippo Giacona suo picciotto, Bavin Pugliesi andò alla barricata formata dai borbonici e vi piantò la bandiera “ (6).
Il Mastricchi non nomina né il genovese Carbone, né l’altavillese Santangelo, nominando invece se stesso; quanto all’indicazione di ”un uomo dei Mille a cavallo”, che aprì la strada agli altri, non può che trattarsi di Francesco Nullo, l’unico che nessuno contesta sia stato il primo a saltare la barricata di Porta Termini.
Un fatto come questo della bandiera che, a distanza di oltre centocinquant’anni, può sembrare poco rilevante, in quel contesto era senza dubbio considerato di importanza decisiva. E non si trattava certamente di una questione puramente simbolica, se il generale Giuseppe La Masa e il colonnello Vincenzo Fuxa, d’accordo con Garibaldi, promisero ben ottomila onze a chi per primo avesse piantato il tricolore o al Municipio o a piazza Bologni (7).
Sia stato o no Luigi Bavin Puglisi il primo a piantare la sua bandiera sulla barricata di Porta Termini, il suo comportamento in quei frangenti è stato comunque eroico e perciò il suo nome non a caso ha trovato un posto nella letteratura popolare. Infatti, lo ritroviamo citato in un romanzo storico di Giuseppe Ernesto Nuccio accanto al nome di Francesco Carbone ( e forse il Nuccio, per la faccenda della bandiera, è dalla parte del genovese ) quando scrive: “Ma, a un tratto, Pispisedda scorge, fra il nugolo di fumo, un garibaldino balzare con un suo morello nel quadrivio d’inferno e scavalcar la barricata. Un altro lo segue; pianta una bandiera sulla barricata e grida: “Viva l’Italia!”.
Un picciotto balza sulla barricata; poi un altro, bruno, con i baffi appuntiti, seguito da un manipolo di ardimentosi. Un urlo altissimo scatta dalla folla degli armati che, per un attimo, hanno assistito col cuore sospeso; un urlo così alto che Pispisedda ne è assordito: “Viva Nullo! Viva Carbone! Viva Bavina-Pugliesi!, Viva Carini! Viva Mondino!”. Sono quelli che, or ora, hanno oltrepassata la barricata e sono già nel cuor di Palermo” (8).
Troviamo il nome del nostro anche in un poema popolare pubblicato quell’anno stesso e che, alla strofa n. 257, così recita: “Lu dittaturi sempri s’avanzava/ Cu li Siciliani, e Piamuntisi,/Mmenzu li baddi ‘ntrepidu accustava,/Di Palermu pigghiannu li difisi./Pri l’onuri la morti nun curava,/Anchi La Masa, Bissio, e Pugghisi,/ Junti a Porta di Termini avanzaru,/E dintra la Citati si ‘nfilaru” (9).
Quella bandiera, vinti i soldati borbonici alla barricata, venne ripresa dal Puglisi e portata alla Fieravecchia. Da qui sarebbe poi stata conservata nella casa di Ludovico De Bauyn ch’era in quella piazza, di fronte al palazzo Torremuzza e prospiciente anche in piazza della Kalsa, e che avrebbe ospitato il comando del battaglione dei Cacciatori dell’Etna guidato dal fratello. E’ questa la ragione per cui la bandiera, in possesso della famiglia De Bauyn, a differenza delle altre bandiere, è giunta fino a noi.
Ma è davvero quella la bandiera di cui sin’ora abbiamo parlato? Scrive Nicola Previteri: “Il campo di Gibilrossa, intanto, accoglieva gli esuli che vi formarono con l’attivismo di Luigi Bavin , una delle squadre più numerose che sarebbero scese tra le prime nella capitale il 27 maggio col tricolore adornato dell’immagine del Santo Patrono di Bagheria” (10).
E, invece, sul tricolore che ora è in possesso di Renato De Bauyn non c’è alcuna immagine sacra bensì una scritta da cui si ricava che esso fu un dono, al Comune, di un ricco commerciante, tale Donar E.C., che faceva parte, evidentemente, della locale borghesia liberale . Il Comune l’avrebbe poi affidata a Luigi Bavin Puglisi. Che fossero più d’una le bandiere in mano ai combattenti della squadra inviata da Bagheria? O, semplicemente, ha torto Nicola Previteri?
Biagio Napoli
nella foto di copertina Cimeli garibaldini custoditi a palazzo Cutò a Bagheria, e all'interno un ritratto di Bavin Pugliesi
Note
1. B. Napoli, "Ladri ed eroi. Considerazioni su alcuni fatti e personaggi del maggio 1860, giugno 2014. On line, collegamento esterno su Wikipedia all’indirizzo http://it.wikipedia.org/wiki/Insurrezione_di_Palermo. Risorsa on line anche all’indirizzo www.bagherianews.com
2. A. Elia, Ricordi di un garibaldino dal 1847-48 al 1900, vol. II, Roma, 1904, p. 51.
3. G. Brancato, S. Brancato, V. Scammacca, Un insediamento rurale dell’area palermitana, Altavilla Mìlicia, secoli XII-XIX, Bagheria, 2011, p. 347.
4. Giornale di Sicilia, 29 maggio 1930.
5. Giornale di Sicilia, 21-22 agosto 1925.
6. Documenti dell’archivio privato di Renato De Bauyn.
7. G. Paolucci, Da Francesco Riso a Garibaldi, Memorie e documenti sulla rivoluzione siciliana del 1860, Archivio Storico Siciliano, anno XXIX, 1904, p. 177.
8. G. E. Nuccio, Picciotti e Garibaldini, romanzo storico sulla rivoluzione del 1859-60, Bemporad, Firenze, pp. 263-268. Pispisedda, il protagonista del romanzo, non è che uno scaltro ragazzino del popolo palermitano coinvolto nella cospirazione antiborbonica e poi nell’impresa garibaldina.
9. A. Marotta, Riassuntu pueticu di la rivoluzioni di Palermu successa li 12 jinnaru 1848, cuntinuannu sinu a lu 1860, F. Spampinato, Palermo, 1860.
10. N. Previteri, Verso l’Unità, Gli ultimi sindaci borbonici di Bagheria, Bagheria, 2001, p. 275.
Febbraio 2015 Biagio Napoli