Prendiamo atto con particolare compiacimento che la pubblicazione sul nostro sito della riflessione, ripresa dal Quotidiano 'La Repubblica,' di padre Francesco Michele Stabile, mossa dal rifiuto delle autorità religiose di consentire la somministrazione del Sacramento della Cresima in Cattedrale al figlio del boss Giuseppe Graviano, tra i mandanti dell'assassinio dell'oggi Beato, Pino Puglisi, sta suscitando un confronto di grande valore su temi etico-religiosi. Dopo l'intervento di Tommaso Impellitteri pubblichiamo il contributo del prof. Manlio Schiavo.
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Muovendo dalle opportune, puntuali e sagge riflessioni del nostro stimato presbitero Francesco Stabile, sicuramente condivisibili, nello spirito e nella lettera, a proposito del divieto di celebrare in Cattedrale il sacramento della Cresima del figlio di Giuseppe Graviano, l’amico Tommaso Impellitteri, a sua volta, ha sentito l’urgenza di proporre alcune sue considerazioni, cercando, insieme, di pro-vocare e di sollecitare un più ampio confronto, sia sul piano individuale, sia - e certamente, sarebbe più stimolante e fruttuoso - a livello delle diverse comunità di questa chiesa locale.
Sostenendo con convinzione questa sua proposta e raccogliendo, a mia volta, gli stimoli di quelle riflessioni, provo ad offrire un mio modesto contributo, che riguarderà, da una parte, l’aspetto individuale dell’espressione della fede, dall’altra, il risvolto comunitario; muovendo, però, da una premessa fondamentale alla quale sono sicuro di poter associare anche l’amico Tommaso: “Ci sentiamo corresponsabili, ciascuno per i suoi limiti e le sue omissioni e controtestimonianze, di quanto nella chiesa non corrisponde al suo dover essere ed ai contenuti essenziali della sua missione. Una corresponsabilità che segna lo spirito di questa nostra iniziativa e che ci apre all’ascolto ed alla collaborazione… Non professori che danno lezione ma discepoli che hanno sempre da imparare dal Vangelo e dalla storia e che sono più propensi a porre domande che a esprimere certezze o giudizi inappellabili” (dal Documento di un Gruppo di Cattolici di base di Brindisi, Novembre 2014).
- L’aspetto individuale dell’espressione della fede
Fermo restando il rispetto assoluto per il cammino di fede che questo giovane sta percorrendo, ma proprio per questo, vorrei sottolineare quanto, anche a parer mio, siano (sarebbero, sarebbero stati e….saranno?) necessari e indispensabili atteggiamenti coerenti e consequenziali, per tradurre la fede in gesti “vitali”, in un’assunzione consapevole di responsabilità, atteso che: “ La fede cristiana è in Qualcuno che (di per sé) è invisibile. La fede, tuttavia, chiede di essere mostrata (cfr. 2Pt 3,15), di avere una forma. Dio non si vede ma i credenti si vedono e «con-formano» la vita al Cristo, diventando segno e strumento del legame che Dio ha voluto porre tra la sua vita e la nostra (cfr. LG 8). Le leggi e le strutture della Chiesa, le parole e i gesti della liturgia, le norme e le pratiche della vita hanno senso se (e perché) sono il luogo in cui si vede e si vive la fede. L’intera vita dovrebbe essere segno della salvezza operata da Dio..”.
( M. Ronconi, teologo).
Una fede che si “richiude” nel culto, nelle devozioni o nei devozionismi, nei cerimoniali, che non trova poi “incarnazione” nei fatti e nelle scelte, si autocondanna all’insignificanza e alla vacuità. Il rituale non è uno strumento che produce un effetto automatico secondo una concezione magica, un’immaginazione magica, contro la quale Gesù ha lottato e che ha denunciato: “Gesù fu un laico, non fu un prete, un funzionario, un amministratore di rituali, mai, mai, mai!” ( J. M. Castillo, teologo).
La condizione fondamentale di una fede “adulta” (anche di un cresimando) non trova il suo centro nei rituali religiosi, ma nel comportamento etico orientato verso la misericordia, verso la giustizia, verso il bene. «Lo specchio del comportamento etico non è la propria coscienza, ma il volto di coloro che vivono con me. Quando questo volto esprime pace, speranza, gioia e felicità, perché il mio comportamento genera tutto questo, allora è evidente che il mio comportamento è eticamente corretto» (J. M. Castillo, teologo).
La condizione fondamentale di una fede “adulta”, inoltre, non comporta “né buonismo, né intransigentismo, ma la fatica di dire che il peccato è una ferita, una contraddizione alla vita umana, all’umanizzazione prima che a Dio; e, nello stesso tempo, occorre far regnare la misericordia, perché la giustizia di Dio non sta accanto alla sua misericordia, ma la contiene in sé stessa. Senza questa immanenza della misericordia alla giustizia, il Vangelo non può essere gioia e il cristiano non può avere il profumo del Vangelo” ( E. Bianchi, Priore di Bose).
Certamente non possiamo nasconderci come il cammino di fede che questo giovane sta percorrendo possa essere reso ancora più problematico per gli eventuali “condizionamenti” culturali, ambientali, familiari ben noti. Ma, proprio per questo, non possiamo non sottolineare come la “buona notizia” di Gesù inaugura un nuovo tipo di relazione, incompatibile con i rapporti di potere e di obbedienza e di tradizione: “Sono venuto, infatti, a dividere l’uomo da suo padre e la figlia da su madre e la nuora da sua suocera” (Mt 10,35).
« L’adesione a Gesù sarà causa di divisione. La sequela a Gesù richiede individui pienamente liberi. Il discepolo, se vuole seguire il suo maestro, deve rendersi indipendente da tutto quel che gli impedisce piena libertà di movimento, compresi quei rapporti familiari che proprio per la loro costrizione vengono chiamati “vincoli”, “legami”: “Chi vuol bene al padre o la madre più di me non è degno di me; chi vuol bene al figlio o la figlia più di me non è degno di me” (Mt 10,37).
Gesù non viene a distruggere la famiglia, ma a vivificarla. Per accedere a quella pienezza di vita e di libertà alla quale ogni individuo viene chiamato da Dio, occorre che la famiglia venga liberata da quei ricatti affettivi che impediscono ai suoi componenti di crescere…. Ma se il rifiuto di ogni forma di dominio ha l’effetto di disgregare la famiglia tenuta insieme dagli obblighi del sangue, dai ricatti affettivi e dalla pressione della parentela, poi riesce a vivificare i suoi componenti con un amore nuovo, libero e liberante. ( A. Maggi, teologo).
- L’aspetto comunitario dell’espressione della “fede”
I cristiani non possono essere degli individui isolati, dove ognuno vive il proprio rapporto esclusivo con Dio. Il messaggio di Gesù non è mai per un individuo, per un singolo, ma sempre per un gruppo di persone che lo accoglie e lo accetta. Gesù è venuto a chiedere ad una comunità di mettere in pratica questo messaggio, che è condizionato o potenziato dalla crescita di una comunità animata dal suo Spirito, che fa muovere tutte le cose e che è sempre aperto al nuovo. E’ in questo gruppo che si possono manifestare le dinamiche della donazione e dell’accoglienza degli altri. Un gruppo che accoglie questo messaggio è il lievito che trasforma la società. Solo una comunità può incidere in maniera forte nella società; e, soprattutto, se uno dei suoi membri viene a patire difficoltà a causa di questo messaggio, deve trovare alle sue spalle la ricchezza della comunità che può prendersi cura di lui.
Perché la comunità che è presieduta dall’ amore incondizionato, centrata sulla “buona notizia” di Gesù, si esprime attraverso il servizio. Mediante gesti concreti i discepoli dimostrano la qualità di amore che distingue la comunità cristiana. L'amore che Gesù richiede è una volontà comunitaria di bene che si sforzi continuamente di cancellare le situazioni di egoismo, di indifferenza, di ingiustizia, di prepotenza, di prevaricazione, sia sul piano individuale, sia sul piano politico-sociale, con la concretezza, l’audacia e la novità delle scelte, del linguaggio, dei gesti. “Voi siete il sale della terra, voi siete la luce del mondo”.
Come comunità, siamo (siamo stati e…saremo?) fedeli in maniera autentica e coerente a questo messaggio? O corriamo (abbiamo corso e…correremo?) il rischio di scivolare nelle dinamiche rigide dell’istituzione?
« Qual è la lampadina di allarme che stiamo scivolando in una istituzione rigida? Quando di fronte a una novità si sente quella oscena espressione che è tipica di tutte le comunità religiose: “perché cambiare? Si è sempre fatto così!” La comunità che diventa istituzione è quella che diventa ostile, refrattaria e sospettosa di fronte alle novità. Non importa che ormai queste regole siano un peso, “si sono sempre fatte così”. Le regole ci vogliono, le strutture ci vogliono, ma sempre a disposizione delle persone» ( A. Maggi, teologo).
E non avvertiamo (abbiamo avvertito e….avvertiremo?) il rischio di svuotare la fede del suo proprium e imbalsamarla nella sua funzione sociale, riducendola solo ad un bell’abito identitario, che ci dà tanta sicurezza?
E questo “svuotamento”, diciamolo pure, non avviene (è avvenuto e…avverrà?) « anche grazie agli interessi di bottega e/o alle pigrizie di comodo di una chiesa e di un clero più inclini a tradurre la fede nella comoda e compensativa religiosità popolare che impegnati alla difficile e scomoda testimonianza» ? (don Aldo Antonelli).
E perché, come in questa occasione, non aprire un confronto ampio e libero, della libertà propria di “figli” di Dio, di “fratelli” nella fede, senza reticenze, senza la paura della ricerca della verità, senza autoritarismi, senza soggezioni, ma come cristiani “adulti”, per riscoprire, individualmente e comunitariamente, la propria identità al Vangelo e cercare insieme mezzi e modi per “incarnarlo” nel nostro presente, hic et nunc ?
"Una struttura istituzionale non muore per i suoi errori ma solo quando non soddisfa più alcun bisogno. E non vi è dubbio che la fede cristiana è in crisi, soprattutto presso i giovani, perché questi non sanno a che cosa serve essere credente. Non parliamo del cristianesimo come agente sociale e religione civile o della chiesa come “ong”, ma della fede in Gesù Cristo…. a favore dell’uomo e della vita. E l’autenticità della fede in Gesù di Nazareth è parte fondamentale della identità del cristiano…
Se nella fede viene meno la relazione e la centralità dell’uomo viene meno anche l’identità. Dobbiamo trovare un nuovo equilibrio, altrimenti anche l’edificio morale della Chiesa rischia di cadere come un castello di carta, di perdere freschezza e il profumo del Vangelo. La proposta evangelica deve essere più semplice, profonda, irradiante. E’ da questa proposta che poi vengono le conseguenze morali .
Il ritorno al Vangelo è il ritorno a Gesù Cristo che chiede di essere liberato da tante catene devozionali, da un cristianesimo ridotto a religione che divide tra sacro e profano, che piace tanto ai cristiani senza Cristo, liberato da liturgie…vissute per precetto, per affermare il primato dell’uomo e della vita, della coscienza e della libertà religiosa, per mettersi sulle spalle il fratello che ti è accanto, con le sue debolezze e i suoi bisogni.
Oggi c’è bisogno di segni, di gesti e non più di parole " (dal Documento di un Gruppo di Cattolici di base di Brindisi, Novembre 2014).
Manlio Schiavo