Attualità

Prendiamo atto con particolare compiacimento che la pubblicazione sul nostro sito della riflessione, ripresa dal Quotidiano 'La Repubblica,'  di padre Francesco Michele Stabile, mossa dal rifiuto delle autorità religiose di consentire la somministrazione del Sacramento della Cresima in Cattedrale al figlio del boss Giuseppe Graviano, tra i mandanti dell'assassinio dell'oggi Beato, Pino Puglisi, sta suscitando un confronto di grande valore su temi etico-religiosi. Dopo l'intervento di Tommaso Impellitteri pubblichiamo il contributo del prof. Manlio Schiavo.

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Muovendo dalle opportune, puntuali e sagge riflessioni del nostro stimato presbitero Francesco Stabile, sicuramente condivisibili, nello spirito e nella lettera, a proposito del divieto di celebrare in Cattedrale il sacramento della Cresima del figlio di Giuseppe Graviano, l’amico Tommaso Impellitteri, a sua volta, ha sentito l’urgenza di proporre alcune sue considerazioni, cercando, insieme, di pro-vocare e di sollecitare un più ampio confronto, sia sul piano individuale, sia - e certamente, sarebbe più stimolante e fruttuoso - a livello delle diverse comunità di questa chiesa locale.

Sostenendo con convinzione questa sua proposta e raccogliendo, a mia volta, gli stimoli di quelle riflessioni, provo ad offrire un mio modesto contributo, che riguarderà, da una parte, l’aspetto individuale dell’espressione della fede, dall’altra, il risvolto comunitario; muovendo, però, da una premessa fondamentale alla quale sono sicuro di poter associare anche l’amico Tommaso: “Ci sentiamo corresponsabili, ciascuno per i suoi limiti e le sue omissioni e controtestimonianze, di quanto nella chiesa non corrisponde al suo dover essere ed ai contenuti essenziali della sua missione. Una corresponsabilità che segna lo spirito di questa nostra iniziativa e che ci apre all’ascolto ed alla collaborazione… Non professori che danno lezione ma discepoli che hanno sempre da imparare dal Vangelo e dalla storia e che sono più propensi a porre domande che a esprimere certezze o giudizi inappellabili” (dal Documento di un Gruppo di Cattolici di base di Brindisi, Novembre 2014).

- L’aspetto individuale dell’espressione della fede

Fermo restando il rispetto assoluto per il cammino di fede che questo giovane sta percorrendo, ma proprio per questo, vorrei sottolineare quanto, anche a parer mio, siano (sarebbero, sarebbero stati e….saranno?) necessari e indispensabili atteggiamenti coerenti e consequenziali, per tradurre la fede in gesti “vitali”, in un’assunzione consapevole di responsabilità, atteso che: “ La fede cristiana è in Qualcuno che (di per sé) è invisibile. La fede, tuttavia, chiede di essere mostrata (cfr. 2Pt 3,15), di avere una forma. Dio non si vede ma i credenti si vedono e «con-formano» la vita al Cristo, diventando segno e strumento del legame che Dio ha voluto porre tra la sua vita e la nostra (cfr. LG 8). Le leggi e le strutture della Chiesa, le parole e i gesti della liturgia, le norme e le pratiche della vita hanno senso se (e perché) sono il luogo in cui si vede e si vive la fede. L’intera vita dovrebbe essere segno della salvezza operata da Dio..”.
( M. Ronconi, teologo).

Una fede che si “richiude” nel culto, nelle devozioni o nei devozionismi, nei cerimoniali, che non trova poi “incarnazione” nei fatti e nelle scelte, si autocondanna all’insignificanza e alla vacuità. Il rituale non è uno strumento che produce un effetto automatico secondo una concezione magica, un’immaginazione magica, contro la quale Gesù ha lottato e che ha denunciato: “Gesù fu un laico, non fu un prete, un funzionario, un amministratore di rituali, mai, mai, mai!” ( J. M. Castillo, teologo).

La condizione fondamentale di una fede “adulta” (anche di un cresimando) non trova il suo centro nei rituali religiosi, ma nel comportamento etico orientato verso la misericordia, verso la giustizia, verso il bene. «Lo specchio del comportamento etico non è la propria coscienza, ma il volto di coloro che vivono con me. Quando questo volto esprime pace, speranza, gioia e felicità, perché il mio comportamento genera tutto questo, allora è evidente che il mio comportamento è eticamente corretto» (J. M. Castillo, teologo).
La condizione fondamentale di una fede “adulta”, inoltre, non comporta “né buonismo, né intransigentismo, ma la fatica di dire che il peccato è una ferita, una contraddizione alla vita umana, all’umanizzazione prima che a Dio; e, nello stesso tempo, occorre far regnare la misericordia, perché la giustizia di Dio non sta accanto alla sua misericordia, ma la contiene in sé stessa. Senza questa immanenza della misericordia alla giustizia, il Vangelo non può essere gioia e il cristiano non può avere il profumo del Vangelo” ( E. Bianchi, Priore di Bose).

Certamente non possiamo nasconderci come il cammino di fede che questo giovane sta percorrendo possa essere reso ancora più problematico per gli eventuali “condizionamenti” culturali, ambientali, familiari ben noti. Ma, proprio per questo, non possiamo non sottolineare come la “buona notizia” di Gesù inaugura un nuovo tipo di relazione, incompatibile con i rapporti di potere e di obbedienza e di tradizione: “Sono venuto, infatti, a dividere l’uomo da suo padre e la figlia da su madre e la nuora da sua suocera” (Mt 10,35).
« L’adesione a Gesù sarà causa di divisione. La sequela a Gesù richiede individui pienamente liberi. Il discepolo, se vuole seguire il suo maestro, deve rendersi indipendente da tutto quel che gli impedisce piena libertà di movimento, compresi quei rapporti familiari che proprio per la loro costrizione vengono chiamati “vincoli”, “legami”: “Chi vuol bene al padre o la madre più di me non è degno di me; chi vuol bene al figlio o la figlia più di me non è degno di me” (Mt 10,37).

Gesù non viene a distruggere la famiglia, ma a vivificarla. Per accedere a quella pienezza di vita e di libertà alla quale ogni individuo viene chiamato da Dio, occorre che la famiglia venga liberata da quei ricatti affettivi che impediscono ai suoi componenti di crescere…. Ma se il rifiuto di ogni forma di dominio ha l’effetto di disgregare la famiglia tenuta insieme dagli obblighi del sangue, dai ricatti affettivi e dalla pressione della parentela, poi riesce a vivificare i suoi componenti con un amore nuovo, libero e liberante. ( A. Maggi, teologo).

- L’aspetto comunitario dell’espressione della “fede”

I cristiani non possono essere degli individui isolati, dove ognuno vive il proprio rapporto esclusivo con Dio. Il messaggio di Gesù non è mai per un individuo, per un singolo, ma sempre per un gruppo di persone che lo accoglie e lo accetta. Gesù è venuto a chiedere ad una comunità di mettere in pratica questo messaggio, che è condizionato o potenziato dalla crescita di una comunità animata dal suo Spirito, che fa muovere tutte le cose e che è sempre aperto al nuovo. E’ in questo gruppo che si possono manifestare le dinamiche della donazione e dell’accoglienza degli altri. Un gruppo che accoglie questo messaggio è il lievito che trasforma la società. Solo una comunità può incidere in maniera forte nella società; e, soprattutto, se uno dei suoi membri viene a patire difficoltà a causa di questo messaggio, deve trovare alle sue spalle la ricchezza della comunità che può prendersi cura di lui.

Perché la comunità che è presieduta dall’ amore incondizionato, centrata sulla “buona notizia” di Gesù, si esprime attraverso il servizio. Mediante gesti concreti i discepoli dimostrano la qualità di amore che distingue la comunità cristiana. L'amore che Gesù richiede è una volontà comunitaria di bene che si sforzi continuamente di cancellare le situazioni di egoismo, di indifferenza, di ingiustizia, di prepotenza, di prevaricazione, sia sul piano individuale, sia sul piano politico-sociale, con la concretezza, l’audacia e la novità delle scelte, del linguaggio, dei gesti. “Voi siete il sale della terra, voi siete la luce del mondo”.

Come comunità, siamo (siamo stati e…saremo?) fedeli in maniera autentica e coerente a questo messaggio? O corriamo (abbiamo corso e…correremo?) il rischio di scivolare nelle dinamiche rigide dell’istituzione?
« Qual è la lampadina di allarme che stiamo scivolando in una istituzione rigida? Quando di fronte a una novità si sente quella oscena espressione che è tipica di tutte le comunità religiose: “perché cambiare? Si è sempre fatto così!” La comunità che diventa istituzione è quella che diventa ostile, refrattaria e sospettosa di fronte alle novità. Non importa che ormai queste regole siano un peso, “si sono sempre fatte così”. Le regole ci vogliono, le strutture ci vogliono, ma sempre a disposizione delle persone» ( A. Maggi, teologo).

E non avvertiamo (abbiamo avvertito e….avvertiremo?) il rischio di svuotare la fede del suo proprium e imbalsamarla nella sua funzione sociale, riducendola solo ad un bell’abito identitario, che ci dà tanta sicurezza?

E questo “svuotamento”, diciamolo pure, non avviene (è avvenuto e…avverrà?) « anche grazie agli interessi di bottega e/o alle pigrizie di comodo di una chiesa e di un clero più inclini a tradurre la fede nella comoda e compensativa religiosità popolare che impegnati alla difficile e scomoda testimonianza» ? (don Aldo Antonelli).

E perché, come in questa occasione, non aprire un confronto ampio e libero, della libertà propria di “figli” di Dio, di “fratelli” nella fede, senza reticenze, senza la paura della ricerca della verità, senza autoritarismi, senza soggezioni, ma come cristiani “adulti”, per riscoprire, individualmente e comunitariamente, la propria identità al Vangelo e cercare insieme mezzi e modi per “incarnarlo” nel nostro presente, hic et nunc ?

"Una struttura istituzionale non muore per i suoi errori ma solo quando non soddisfa più alcun bisogno. E non vi è dubbio che la fede cristiana è in crisi, soprattutto presso i giovani, perché questi non sanno a che cosa serve essere credente. Non parliamo del cristianesimo come agente sociale e religione civile o della chiesa come “ong”, ma della fede in Gesù Cristo…. a favore dell’uomo e della vita. E l’autenticità della fede in Gesù di Nazareth è parte fondamentale della identità del cristiano…

Se nella fede viene meno la relazione e la centralità dell’uomo viene meno anche l’identità. Dobbiamo trovare un nuovo equilibrio, altrimenti anche l’edificio morale della Chiesa rischia di cadere come un castello di carta, di perdere freschezza e il profumo del Vangelo. La proposta evangelica deve essere più semplice, profonda, irradiante. E’ da questa proposta che poi vengono le conseguenze morali .

Il ritorno al Vangelo è il ritorno a Gesù Cristo che chiede di essere liberato da tante catene devozionali, da un cristianesimo ridotto a religione che divide tra sacro e profano, che piace tanto ai cristiani senza Cristo, liberato da liturgie…vissute per precetto, per affermare il primato dell’uomo e della vita, della coscienza e della libertà religiosa, per mettersi sulle spalle il fratello che ti è accanto, con le sue debolezze e i suoi bisogni.

Oggi c’è bisogno di segni, di gesti e non più di parole " (dal Documento di un Gruppo di Cattolici di base di Brindisi, Novembre 2014).

Manlio Schiavo
 

Nel corso di una intervista rilasciata a Giuseppe Bianca del periodico online siciliainformazioni.it, il sindaco di Bagheria Patrizio Cinque alla domanda sui progetti in campo per il rilancio di Bagheria risponde: 'Un progetto riguarda un grosso investitore belga che vuole realizzare il più grande centro commerciale del sud Italia, proprio qui a Bagheria”.

Un grillino che fa centri commerciali? interloquisce il giornalista

Io posso anche non essere particolarmente d’accordo, ma se riusciamo a ridurre fino ad abbassarlo al massimo l’impatto ambientale, ed avere benefici reali ed importanti, di sistema intendo, ne possiamo parlare. In due mesi abbiamo fatto quello che altri avevano portato avanti in due anni. Si parla di un investimento di 500 milioni di euro, con quasi 40 milioni di euro di oneri di urbanizzazione incassati per il Comune”

Una notizia che farà senz'altro discutere, anche alla luce del fatto che recentemente nell'assemblea cittadina che prese atto della riapertura del corso Umberto, a proposito del centro commerciale cinese che sorge a villa Cavarretta, il sindaco disse chiaramente che lui sarebbe stato contrario, ma che al momento del suo insediamento aveva trovato già la pratica completamente istruita.

Nel corso dell'intervista c'è un'altra affermazione che farà discutere ed è a proposito della domanda del giornalista circa la lotta alla criminalità mafiosa, allorchè il sindaco risponde:

In verità dalle dichiarazioni dei pentiti emerge un quadro con infiltrazioni anche in alcuni settori di questa Amministrazione, il pentito Zarcone e prima ancora Sergio Flamia, parlano di due settori controllati dal malaffare, lo sportello unico per le attività produttive e l’ufficio tecnico. Una forma forte di condizionamento è stato certamente esercitato. Una delle prime cose che ho fatto è andare dai carabinieri a riferire e denunciare

E anche alla domanda su quali potranno essere i tempi del cambiamento, Patrizio Cinque non si sottrae:

Ci siamo dati realisticamente una prospettiva di realizzare un cambiamento visibile in due anni - replica il sindaco - Il Comune di Bagheria ha un debito di 43 milioni di euro, è stato dichiarato il dissesto, in questi due anni metteremo in atto alcuni passaggi importanti”

 

Il neretto è della Redazione

 

Domenica 7 dicembre 2014, alle ore 18.00, nella Chiesa delle Anime Sante, avrà luogo la S. Messa con la rinnovazione del Rito dell'incoronazione della Vergine Immacolata  a Madre e Regina di Bagheria (Card. Ernesto Ruffini, 1954) nel 60° Anniversario di quel gioioso evento per la Città di Bagheria.

Alla Madonna verrà posto sul capo il prezioso diadema d'oro omaggiatoLe dal fedele popolo bagherese nel 1954 e benedetto da Sua Santità Papa Francesco, lo scorso 10 aprile 2013 in Roma. La solenne celebrazione sarà presieduta da S.E.R. Mons. Carmelo Cuttitta, Vescovo Ausiliare di Palermo, alla presenza delle Autorità Civili e Militari.

Nella stessa giornata di domenica, alle ore 11.00, nel Salone Parrocchiale sarà inaugurata la mostra dal titolo 'Doni all'Immacolata e Memorie  di Mons. Giuseppe Sammarco' nella quale saranno esposti gli antichi ex-voto donati all'Immacolata e diversi ricordi di Padre Sammarco, primo Parroco della Comunità .

La mostra, allestita e curata dall'Associazione Mons. Giuseppe Sammarco, sarà  visitabile nell'intera giornata di domenica, durante la quale i visitatori potranno anche consumare qualche dolce con una piccola offerta, il cui ricavato servirà per il pranzo di Natale dei bisognosi.

Lunedì  8 dicembre, Solennità dell'Immacolata Concezione, la S. Messa solenne avrà luogo alle ore 11,30: in quell'occasione sarà svelata una lapide in ricordo del 60° Anniversario dell'incoronazione e dell'Anno Mariano ed inoltre la Madonna sarà omaggiata di un Rosa d'argento, anch'essa benedetta da Papa Francesco.

Nel pomeriggio, dopo la S. Messa delle ore 16,30 seguirà la consueta Processione dell'Immacolata per le vie della Città di Bagheria.

Il Parroco Don Massimiliano Purpura 

 

Confesso che l’intervento di don F.sco Michele Stabile sulla vicenda della Cresima negata in Cattedrale ad un parente dei Graviano, pubblicato sul quotidiano la Repubblica del 25 Nov. u. s., ed. Palermo, mi ha spinto, da un lato, ad interrogare me stesso come credente (per la scelta legata all’essere, appunto, credente); dall’altro, ad interrogare la stessa comunità locale dei credenti, la Chiesa locale in cui mi ritrovo.

Mi piace riportare i vari passaggi dell’intervento, intervallati, di seguito, dalle mie brevi riflessioni.  

Scrive don Stabile:
- Il confronto di opinioni sul divieto della Curia palermitana di celebrare in cattedrale il sacramento della Cresima del figlio di Giuseppe Graviano, mandante della uccisione di don Pino Puglisi, è divenuto occasione di una riflessione che coinvolge la Comunità ecclesiale, ma anche la società civile……….

Credo possa essere importante proporre il confronto di opinioni in ambito più diretto e circoscritto quale quello della comunità ecclesiale e della società civile bagheresi. Con ben 11 parrocchie e con molti giovani presbiteri, il confronto non potrebbe che essere positivo, anche per una sostenuta necessità di una specifica pastorale verso i “mafiosi” e verso quanti si ritrovano all’interno di quel mondo, sia nella dimensione familiare sia in quella sociale, per una conversione di fede.

 

- Tante volte abbiamo chiesto una riflessione comunitaria per elaborare una linea pastorale verso i mafiosi per una conversione di fede. Sono consapevole delle difficoltà e delle sensibilità diverse. Abbiamo fatto una esperienza di queste difficoltà quando scoppiò il caso Aglieri che aveva un altare dove alcuni preti andavano a celebrare messa. E non credo che fosse una modalità accettabile di annunzio del vangelo.

Quanto prima detto si coniuga benissimo con quanto espresso da don Stabile in tale passaggio. Pare, infatti, che questa riflessione (.. per via delle difficoltà e sensibilità diverse ..) non sia stata ancora fatta almeno secondo modalità chiare e condivise, perciò ‘accettabili’, al fine di potere annunziare il vangelo attraverso un’ adeguata pastorale capace di suscitare un cammino di autentica conversione.

- Ora questo intervento della Curia apre una nuova discussione che ritengo preziosa. L’arcivescovo ha voluto prevenire altre polemiche dopo il caso della processione a Ballarò o dei funerali al boss della Zisa dove era coinvolta una congregazione.

È sempre auspicabile che da parte della Chiesa soprattutto locale vi siano interventi sia per rendere sempre chiaro come coniugare il messaggio evangelico, con fedeltà e coerenza, con la realtà, sia per contribuire a far diventare più “adulta” la fede dei credenti.
Predisporre interventi solo per prevenire polemiche non può che apparire molto riduttivo e non affatto condivisibile atteso che, per la complessità della realtà, le polemiche nasceranno sempre .

alt- Al di là della motivazione della Curia per giustificare questo divieto su cui si sono appuntate riserve e critiche cioè la presenza in cattedrale della tomba del beato Puglisi, a me pare rilevante che possa servire a uscire da un certo letargo della coscienza religiosa che in questi ultimi tempi è sembrata distratta sul fronte dalla mafia. Il motivo per cui ho dichiarato di essere favorevole a questo intervento della Curia è che non possiamo far finta che non sia successo niente come se il martirio di Puglisi fosse già archiviato con il giro di una reliquia per le parrocchie della diocesi. Non dobbiamo dimenticare infatti che ci sono stati lunghi periodi di silenzio della chiesa sulla realtà mafiosa, che sono stati amministrati sacramenti, e continuiamo ad amministrare sacramenti, per pura tradizione senza chiedere una vera adesione di fede a Gesù Cristo e al suo vangelo. Il silenzio in questo caso avrebbe lasciato che tutto andasse come sempre è andato e cioè che ognuno nella chiesa ci sta a modo suo.

I punti sottolineati da don Francesco sco sono estremamente forti e significativi sotto gli aspetti prettamente di fede e di vera testimonianza del proprio credo, in questo caso del Vangelo, in qualche modo ritenuti più rilevanti della motivazione della ubicazione della tomba … anche se questa motivazione rimanda alla sensibilità (direi quasi alla necessità) umana nei confronti dei defunti e dei luoghi ove ‘riposano’. È innegabile, infatti, che come esseri umani abbiamo in qualche modo bisogno (sensibilità o fragilità umana) anche di un riferimento ‘fisico-ubicazionale’ del nostro defunto, pur consapevoli che il mistero della morte e della vita (in tutt’uno) è ben altro e non definibile. Il riferimento fisico, ossia la tomba, diventa perciò ‘sacro’ ossia degno di ‘rispetto’, di rispetto anche del ‘senso’ della vita spesa dallo stesso defunto. Avvertiamo come esseri umani il bisogno e la necessità di ‘entrare in punta di piedi’ in tale ‘spazio sacro’.

E l’entrare in punta di piedi deve tradursi in comportamenti manifesti adeguati. Se, dunque, in questo caso la cresima (ma ciò vale per tutti gli altri sacramenti) impone segni manifesti e consapevoli di conversione e impegno, ancor di più così deve essere se lo si manifesta in certi luoghi pregni di significato sociale e religioso quale la tomba di don Puglisi.

Letargo della coscienza religiosa – rischio di martirio archiviato – periodi di silenzio sulla realtà mafiosa– con quel dissacrante modo e convinzione di potere stare entro la Chiesa ognuno a modo suo !

Sono aspetti molto gravi che non possono non impegnare seriamente e consapevolmente l’espressione concreta e costante della nostra fede.
E’ più facile ‘archiviare’ che compromettersi partendo proprio da ciò che si vorrebbe archiviare. E si può archiviare in tantissimi modi sia con riti (che rischiano di restare pure formalità) sia con comportamenti che scaricano su altri i compiti che spettano a ciascun credente. E con l’ “archivio” si accompagnano il silenzio .. il letargo …

altLa maturità dell’uomo d’oggi, del credente d’oggi immerso nelle vicissitudini quotidiane locali e mondiali, indica chiaramente che, a differenza del passato, non sono e non possono essere né le reliquie in giro né i riti sacramentali, molto spesso privi (nel credente) del senso di fede comunitaria, a metterci il cuore in pace nella quasi totale passività di comodo; come se essi, reliquie e riti, possono da soli (vista la nostra piena e passiva delega al Signore!) fare il miracolo di vincere il male; quando al contrario è proprio l’impegno quotidiano e la relativa ‘compromissione’ contro tutto ciò che costituisce il male per la persona a fare il miracolo del bene che dal Signore ci viene richiesto.

Impegnarsi direttamente è un ritornare alle origini: Gesù Cristo fu ammazzato perché, stando fuori in strada tra e con le persone, si comprometteva per attuare il bene nella difesa degli indifesi. È stato ammazzato perché a lui importava ogni singola persona, non si faceva i “fatti suoi”, non si costruiva una nicchia o una torre entro cui rinchiudersi e starsene al sicuro …. incensando a destra e manca … e operava nel riferimento costante a quel Padre, il cui Tempio liberò dai mercanti senza mezze misure … Altro che (lasciar) star dentro ognuno a modo suo!

- Non sono giudice dell’itinerario di preparazione che i ragazzi che dovevano ricevere la Cresima in cattedrale hanno fatto. Certo la Cresima è per un battezzato una scelta di campo, una testimonianza del vangelo come quella che ha portato Puglisi a non tirarsi indietro di fronte alla violenza mafiosa. Nel caso del ragazzo figlio di un boss mafioso e mandante della morte di Puglisi non sarebbe stato opportuno verificare se il ricevere la Cresima era accompagnato da una adesione piena al vangelo di Cristo che Puglisi predicava, da una presa di distanza esplicita dal mondo mafioso?

Ovviamente la domanda molto forte e pregna di significato è rivolta, da un lato, ai formatori che in tutti i modi devono stare attenti a non rivestire la misericordia di Dio di ritualità rassicuranti negli esclusivi termini di non compromissione con atti forti e manifesti; dall’altro e per gli stessi motivi, è rivolta a tutti i credenti.
Come credenti, infatti, siamo e vogliamo davvero essere consapevoli e coerenti con la scelta di campo indicata?
E, senza pretendere affatto di dovere essere tutti martiri, è davvero impossibile esprimere in maniera forte e manifesta una presa di distanza dal mondo mafioso e dalla sua in-cultura?
Come credenti, se non rispondiamo innanzitutto, in prima persona e a noi stessi a questi interrogativi, non possiamo esprimere alcun valida considerazione circa la questione in esame; anzi, non dobbiamo esprimerla perché sarebbe ipocrita, ambigua o un semplice pour parlèr.

- Vero è che i figli non devono pagare gli errori dei padri, ma questo figlio non gode di privilegi economici, scuola di livello, che altri ragazzi non possono permettersi, perché figlio di chi ha fatto soldi in modo discutibile?

In questo interrogativo è contenuta una modalità chiara e manifesta di presa di distanza dal mondo mafioso: la disponibilità alla restituzione del maltolto! Certo è facile a dirsi ed estremamente complicato a farsi, per i tanti intuibili aspetti che intervengono. E però, quanto meno una chiara ed esplicita e manifesta dichiarazione sarebbe fondamentale, importantissima e sarebbe in coerenza col Vangelo di cui, con la cresima, così come per altri sacramenti, si diventa testimoni!

- Sono anch’io d’accordo che ci vuole misericordia e accoglienza, ma non si sarebbe risolto subito il problema se la famiglia e il ragazzo, conoscendo la motivazione della Curia, avessero posto un gesto, una parola di riconoscimento del martirio di Puglisi per mano di mafia e così iniziare un cammino di vera riconciliazione ? Padre Francesco Michele Stabile

Pur comprendendo la sensibilità e il rispetto di un sentire umano che può stare dietro la “.. motivazione della Curia”, nonché la nostra fragilità e le oggettive condizioni del nostro contesto sia religioso sia sociale, sento la necessità di rimarcare che proprio la scelta di campo che comporta, in questo caso, la cresima, dovrebbe essere la motivazione fondamentale perché pubblicamente, da un lato, sia la famiglia sia il cresimando esprimano intanto una parola di riconoscimento del martirio di Puglisi per mano di mafia, per iniziare così un cammino di vera riconciliazione che potrà comportare, nei tempi e nelle modalità più opportune in difesa della integrità delle stesse persone, la restituzione del maltolto; e, dall’altro lato, venga così avvertito come necessario, per una fede che sia veramente vissuta in termini comunitari, da parte dei credenti tutti.

Come credenti non si può perciò non essere disponibili, al fine di contrastare il “letargo” delle coscienza religiosa, l’archiviazione di comportamenti concreti di testimonianza evangelica, il silenzio specie sulla mafia di noi credenti quale Chiesa, il poter vivere all’interno della Chiesa ognuno a modo suo, ad individuare comunitariamente, intanto nella chiesa locale bagherese, uno specifico percorso per far tesoro di questo avvenimento, per un approfondimento comune che possa aiutare a divenire sempre più credenti “adulti”.

Tommaso Impellitteri
 

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