Cultura

Durante quegli anni numerosi furono i delitti che anche a Monreale si consumarono. Una svolta alle indagini si ebbe col torinese Emilio Bernabò , delegato di terza classe, giunto in paese il 19 luglio del 1876, e dopo l’attentato a Simone Cavallaro, di anni 56, possidente, avvenuto il successivo 27 agosto.

Quel giorno due colpi di fucile lo colpiscono “alle gambe e al revolver che porta al fianco e che, per il momento, gli salva la vita. …Tre giorni dopo, poco prima di morire… fa le sue accuse alla presenza del  delegato, dichiarando che a colpirlo erano stati gli stuppagghieri” . ( 1 )

E’ la prima volta che qualcuno, nel bel mezzo di una guerra di mafia, tira fuori questo appellativo. Chi erano costoro? Secondo la versione processuale a Monreale esistono a quel tempo due fazioni avverse di vecchia e nuova mafia. Da un lato ci sono quelli che, detti con disprezzo scurmi fitusi, sgombri andati a male, rappresentano la vecchia mafia mentre dall’altro ci sono, appunto, gli Stoppaglieri che  vogliono prendere il posto di quegli altri.

Nella lotta tra le due fazioni, come scrive il Cutrera, agli “omicidi che il partito della Stoppaglia dovette subire, tenne dietro la vendetta. La vecchia mafia vide ad uno ad uno
cadere i suoi migliori campioni. E’ questo il momento epico della lotta, il periodo del terrore”.
( 2 )

Il Cavallaro non è che uno di questi campioni. Il padre ultraottantenne e il figlio, sostenitori dell’esistenza della setta, collaboreranno con il delegato fornendo continue informazioni che il Bernabò utilizzerà per i suoi frequenti rapporti al questore che, il 29 settembre, denuncerà la setta degli Stoppaglieri  al Procuratore del re.

Il passo successivo è l’istruzione del processo che a fine marzo 1877 ha termine con il  rinvio a giudizio di 19 imputati. Ed è la sentenza istruttoria a contenere una vera sorpresa perché saranno le  dichiarazioni di un personaggio, mai comparso durante l’istruzione, a motivare il rinvio a giudizio.

Secondo la versione ufficiale, perfezionata e diffusa dopo il processo di appello, sul finire del settembre 1876 l’ex stuppagghiere Salvatore D’Amico rivelava tutto quello che sapeva sulla setta, dando il via alla procedura contro l’associazione”. ( 3 )

altUn pentito dunque, e bagherese per giunta!

Di lui non sappiamo molto e, quello che sappiamo, a volte è contraddittorio. Denuncerà sia gli Stoppaglieri  di Monreale che, più tardi, i Fratuzzi di Bagheria ma è testimone assente d’entrambi i processi venendo  assassinato prima del loro inizio. Scriverà infatti il Cutrera che la sua “vita fu un dramma breve ma triste  assai”. ( 4 )

Nato nel 1854, tagliapietre da ragazzo, a 17 anni, cioè nel ’71, viene rinchiuso all’Ucciardone per omicidio.

Anche se non sarà una lunga detenzione ( a quanto pare ha ucciso per legittima difesa ) le conoscenze  fatte in carcere condizioneranno la sua vita futura essendo alla base della sua affiliazione alle sette  mafiose. Poco chiaro è quanto egli rimane in carcere e quando l’affiliazione si verifica.

Nel Cutrera leggiamo: “ Quando uscì dal carcere, dopo sei mesi, era così ben istruito e preparato da potere degnamente ricevere il battesimo. La solenne funzione fu compiuta in Bagheria: Salvatore D’Amico aveva ricevuto il nome di fratello: fratuzzo”. ( 5 )

Amelia Crisantino, che ha scritto un informatissimo libro sugli Stoppaglieri, scrive invece: “D’Amico era  stato in carcere dal 1870 al ’72, condannato per l’omicidio di un certo Barbera. Lì aveva appreso che a Monreale esisteva una società segreta, con diramazioni in altri paesi e costituita allo scopo di delinquere. Viene affiliato ma una volta libero perde i contatti…”. ( 6 )

Salvatore Lupo, almeno per quanto riguarda il luogo dell’affiliazione ( il carcere ), pare che confermi quanto scrive la Crisantino: “…a suo tempo D’Amico , condannato per omicidio e detenuto nel carcere palermitano, era stato affiliato alla setta mediante un complesso rituale “in mezzo ai rappresentanti emeriti del malandrinaggio di Bagheria, San Giuseppe, San Lorenzo, Altarello, Misilmeri, Borgetto e naturalmente Monreale”. ( 7 )

Tutt’altra versione ci viene data da Antonino Morreale: “…fa sei mesi di carcere e conosce Pietro Gorgone monrealese che apprezzandone le qualità lo invita ad associarsi agli “stoppaglieri” di Monreale e alla filiale bagherese dei “fratuzzi”…Ma il D’Amico per il momento non accetta…”. ( 8 )

E dunque il D’Amico fa soltanto sei mesi o un paio d’anni di carcere? Viene affiliato mentre è detenuto o quando viene rimesso in libertà? Subito dopo la scarcerazione o a distanza di tempo?

E’ un fatto comunque che, lasciato l’Ucciardone, del D’Amico e di eventuali sue imprese non abbiamo alcuna notizia fino al 1875 che, per lui, è un anno cruciale. Quell’anno si verificano due fatti che avranno conseguenze importantissime.

Andiamo per ordine.

altTra i morti della guerra di mafia di Monreale figura anche un certo Salvatore Caputo. Costui, esponente della vecchia mafia, che possiamo anche definire perdente, e sensale di agrumi, col pretesto della vendita di “una partita di limoni, viene condotto in un giardino in contrada Tre Canali. Giunto ad un dato punto si intese un colpo d’arma da fuoco, e il Caputo cadde immerso nel proprio sangue” ( 9 )

E’ il 13 luglio 1875. Scrive il Cutrera :“La famiglia del Caputo, allora, terrorizzata, abbandonò Monreale, dove lasciava proprietà, parenti e amici, e cercò ricovero in Bagheria dove fece conoscenza e strinse amicizia con tal Salvatore D’Amico…”. ( 10 )

Come abbiamo detto, non sappiamo se già allora il D’Amico fosse stato affiliato alla nuova mafia, ma l’amicizia con la famiglia dei Caputo rappresentava sicuramente una scelta di campo. Ma era solo amicizia?

Scrive Amelia Crisantino: “…avendo sposato una nipote del Caputo entra in rapporti di amicizia e addi- rittura di parentela con i nemici della setta”. ( 11 )
Anche per Salvatore Lupo il D’Amico è “parente di Caputo e dunque coinvolto nella frattura interna dell’organizzazione”. ( 12 )

Ma le cose non sono così semplici e l’altro fatto decisivo nella vita del D’Amico, cioè il suo matrimonio, che da Antonino Morreale ci viene raccontato nella maniera seguente: “…sposa invece nel ’75 Rosaria Gandolfo figlia di Francesco brigadiere dei militi a cavallo e poi di pubblica sicurezza.

Da allora forse diventa una pedina nelle mani del suocero che saputo dell’esperienza carceraria e delle nuove pressioni ricevute da Pietro Valenti e Andrea Canale ad aderire alla setta lo convince ad infiltrarsi dietro compenso di lire 1.50 al giorno, il salario di un bracciante, pagate puntualmente per un anno”. ( 13 )

E’ parente dei Caputo? Lo è di Francesco Gandolfo? E se lo è, come pare, di quest’ultimo, ne è genero?

Ovvero, invece di sposarne la figlia, è la nipote che sposa divenendone nipote? Riprendiamo gli autori che si sono occupati dell’argomento.

Il Cutrera, per esempio, scrive: “Nel 1875, quando aveva ventun’anno, egli prese moglie sposando la nipote del vicebrigadiere dei militi a cavallo Francesco Gandolfo, residente in Bagheria”. ( 14 )

E la stessa Crisantino, che pur lo aveva detto nipote del Caputo, riporta successivamente la testimonianza di Francesco Gandolfo al processo contro gli Stuppagghieri in cui il vicebrigadiere affermerà come il “D’Amico è stato guardia campestre a Misilmeri, ha sposato una sua nipote, gli ha confidato l’esistenza di una società segreta a Monreale”. ( 15 )

Salvatore D’Amico è dunque nipote acquisito di Francesco Gandolfo; si infiltra tra i mafiosi e denuncia, nel settembre del 1876, la mafia di Monreale. Ora sa che la sua fine è segnata. Scrive il Cutrera a questo proposito: Salvatore D’Amico ben comprendeva la gravità di quello che diceva, ed al giudice istruttore disse: “Io morrò per la mano degli stoppaglieri, perché senza dubbio sarò ammazzato, né voi, né la vostra autorità, né tutta la polizia italiana basteranno a salvarmi”. Il disgraziato sentiva la morte che si appressava a lui…”. ( 16 )

Tenteranno, già verso la fine del 1876, di eliminarlo, avvelenandolo, i suoi stessi familiari affiliati alla setta. ( 17 )

Quasi un anno dopo, per i buoni uffici del nonno Francesco Gandolfo, con deliberazione della giunta comunale del 25 agosto 1877, viene nominato guardia campestre di Misilmeri. In ottobre, come aveva fatto con gli stoppaglieri, denuncia la setta dei Fratuzzi di Bagheria. ( 18 )

A dicembre, mentre svolge le sue mansioni nelle campagne di Misilmeri, scampa ad un attentato. Non sarà così il 5 marzo del 1878, prima dell’inizio dei processi alle sette da lui denunciate quando, forse a Misilmeri, verrà ucciso; anche a proposito della sua morte sussistono tuttavia dei dubbi se Antonino Morreale scrive che “due colpi a
grossi pallettoni “al cuore e al polmone lo riducevano istantaneamente cadavere”
(19 ) mentre Amelia Crisantino, dal canto suo, riporta che “sul suo cadavere c’erano ferite d’arma da taglio sulla parte destra del corpo e all’inguine lato sinistro, cosa che avvalorerebbe l’ipotesi di un ferimento in seguito a rissa”. ( 20 )

Ad ammazzarlo furono gli Stoppaglieri di Monreale? I Fratuzzi di Bagheria?

O, per compiere quella vendetta, le due sette si associarono? Così parrebbe se leggiamo Luigi Barzini quando scrive ( ma sarà poi vero ? ) che Salvatore D’Amico “fu trovato crivellato di pallottole, con un turacciolo, il simbolo degli stoppaglieri, in bocca, e un’immagine della Madonna del Carmine, il simbolo dei fratuzzi, sul petto”. ( 21)

Marzo  2014   BIAGIO   NAPOLI

 

alt

P.S. Già sappiamo come non sia certo né il luogo né il momento della affiliazione alla mafia di Salvatore D’Amico. Lo conferma il rito dell’affiliazione descritto peraltro in maniera differente da Giuseppe Di Menza e dallo stesso pentito.

Scrive il Di Menza: “I due assistenti e il neofita stavano in ginocchio innanzi al Valenti che rappresenta il corpo dell’associazione. Egli tratta dalla saccoccia una immagine di Nostra Signora delle Grazie, chiese all’adolescente la sua mano destra e sulla palma della medesima spiegava la sacra immagine, per modo che tutta intera la ricoprisse. Indi il Puleo…rilevandone…sulla palma della mano estesa del novizio…il dito pollice, con una punta di coltello aguzzo ne punzecchiò il polpastrello che, sanguinante, piegava…pel modo che la sacra immagine venne tutta cospersa del sangue… . Ciò eseguito, alla sacra immagine insanguinata venne appiccato fuoco sulla palma della mano estesa del novizio, e quando fu ridotta in cenere, quella cenere venne sparsa al vento”.

Troviamo questa citazione, tratta dalle Cronache dalle Assise…, ne Il Nuovo Paese che titola quella pagina “Il giuramento in carcere di Salvatore D’Amico, il primo pentito nella storia della mafia”; e così parrebbe dal momento che il D’Amico, definito adolescente, in carcere v’andò a soli 17 anni. ( 22 )

Racconta invece il nostro pentito : “…la cerimonia si fece in campagna e precisamente alla montagna di Mantegna ( monte Catalfano ). Erano presenti i suddetti Valenti Pietro e Canale Andrea, nonché Alberto Valenti fratello del suddetto ora defunto e Puleo Pietro, il quale attualmente trovasi alla Piana dei Colli ove ha preso il suo domicilio. Andrea Canale mi fece fare sangue dal dito con uno spillo e collo stesso ne spruzzò l’immagine di un santo che non so qual fosse, si stracciò poscia tale immagine e si bruciò. Questa era la cerimonia che si faceva nell’atto di ammissione alla setta”.

E, invece, questa citazione, tratta da ASP, Tribunale penale e civile, vol. 81, è riportata da Antonino Morreale mostrando dunque, a proposito del racconto di quella affiliazione, un contrasto tutto bagherese.
( 23 )
NOTE
1-Amelia Crisantino, Della segreta e operosa associazione-Una setta all’origine della mafia, Sellerio editore
Palermo, 2000, p. 150
2-Antonino Cutrera, La mafia e i mafiosi, origini e manifestazioni, Alberto Reber, Palermo 1900, p. 135,
archive.org>…>American libraries
3-Amelia Crisantino, op. cit., p. 195
4-Antonino Cutrera, op. cit., p. 136
5-Ibidem
6-Amelia Crisantino, op. cit., p. 196
7-Salvatore Lupo, Storia della mafia, Donzelli Editore, Roma 2004, p. 114
8-Antonino Morreale, La vite e il leone, Storia della Bagaria, Secc. XII-XIX, Editrice Ciranna, Roma-Palermo
1998, pp. 410-411
9-Amelia Crisantino, op. cit., p. 160
10-Antonino Cutrera, op.cit., p.136
11-Amelia Crisantino, op. cit., p. 196
12-Salvatore Lupo, op. cit., pp. 113-114
13-Antonino Morreale, op. cit., p. 411
14-Antonino Cutrera, op. cit., p. 136
15-Amelia Crisantino, op. cit., pp. 223-224
16-Antonino Cutrera, op. cit., pp.138-139
17-Antonino Morreale, op. cit., pp.413-414
18-Ivi, p. 410
19-Ivi, p.414
20-Amelia Crisantino, op. cit., p. 224
21-Luigi Barzini, Gli italiani Virtù e vizi di un popolo, BUR saggi, novembre 2008, p. 342
22-Il Nuovo Paese, Bagheria, Gennaio-Novembre 2011, p. 112
23-Antonino Morreale, op. cit., p. 411
Le notizie riguardanti il trasferimento di Salvatore D’Amico presso Misilmeri, l’attentato subito in quel paese come l’uccisione, si trovano nel sito de Il Viandante Sicilia 1877 e 1878.

 

 



 

Sabato 15 marzo 2014 alle 18.00 al centro Mercurio Arte, sito in via Simone Cuccia, 21/23, a Palermo, avrà luogo il vernissage di "Drops part 1", la mostra personale di Arrigo Musti, l’artista nato a Palermo nel 1969 e vissuto a Bagheria, Bologna e Roma (attualmente vive e lavora tra Bagheria e Roma) che ha già ottenuto diversi consensi di pubblico e critica internazionale.

L’esposizione nella galleria Mercurio Arte, che durerà fino al 12 aprile, comprende gli ultimi, inediti, lavori dell’artista che mostrano un’insolita personale visione del volto di ispirazione classica ma scarnificata all’essenzialità di luci ed ombre e dense colature di materiali semisolidi. Nella matrice archetipa del “mito” corroso, l'autore vede la metafora dell’odierna dispersione e della decadenza dei costumi che può, come dice lo storico dell’arte Lorenzo Canova (che ha curato l'ultimo catalogo Drops) “legare l’opera di Antonio Canova a quella di Lucio Fontana”.

Musti ha partecipato nel 2011 alla 54ª Esposizione Internazionale d'arte di Venezia, curata da Vittorio Sgarbi per scelta del regista Giuseppe Tornatore ed è stato finalista al Concorso Mondiale d’Arte Contemporanea promosso dalla cattedra UNESCO di Bioetica e Diritti Umani. Nella sua carriera ha esposto anche alla Wright State University (Dayton – Ohio, USA) e una fra le più importanti mostre personali viene allestita nel 2012 alla Camera dei Deputati -Montecitorio, Roma- e a Palermo, nei locali di Palazzo Sant'Elia.

Vanta, inoltre, numerose esposizioni collettive in Italia, Francia, Olanda, Inghilterra. Le sue opere, infine, sono esposte in molti musei e luoghi di pubblico interesse come il Tribunale Internazionale dell'Aja per i crimini contro l'umanità. Di lui ha scritto il più importante storico dell'arte vivente Maurizio Calvesi: "una pagina nuova nella pittura".

Giuseppe Tornatore definisce i suoi lavori “…un’armonia provocatoria che allarma ed inquieta,...ciò che nell’opera di Arrigo Musti specialmente colpisce e sorprende mi sembra la sua estetica del turbamento per un mondo che ha perduto la propria mitologia”.

Musti ha ultimamente ricevuto un premio speciale, indetto dalla Fondazione Italia - USA per la sua attività artistica e per il suo legame culturale con gli Stati Uniti.

L’ingresso alla mostra è libero e gratuito dal martedì al sabato nesi seguenti orari: 10.30-13.00 e 17.00-20.00

Per informazioni sull’evento: e-mail Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.; Facebook Mercurio Arte Palermo-Milano

Ieri, venerdì 7 marzo 2014 l’artista Arrigo Musti è stato premiato con una targa speciale dalla Fondazione Italia – USA per la sua attività artistica e per il suo legame culturale con gli Stati Uniti.

La cerimonia di consegna, durante la quale erano presenti il sen. Lucio D'Ubaldo (presidente della fondazione) e la vicepresidente on. Gabriella Giammanco, è avvevuta nella Sala della Mercede di Palazzo Marini Camera dei Deputati - Roma.

Arrigo Musti da molti anni ha lasciato la professione di avvocato per una carriera artistica che gli ha permesso, in breve tempo, di raggiungere un grande successo internazionale. Tra le molte esposizioni all’estero di grande rilievo è stata la sua mostra personale "Rain" tenutasi negli Stati Uniti d’America alla Wright State University (Ohio) al missing Peace Art Space ed al Dayton Peace Museum.

Inoltre nel 2011, per idea del curatore Vittorio Sgarbi e su indicazione del premio Oscar Giuseppe Tornatore, partecipa alla Biennale di Venezia. Nel 2012, poi, si inaugura, nel complesso di Vicolo Valdina della Camera dei Deputati in Roma "Nameless", una sua mostra personale ed itinerante.

Tra le sue attività la Fondazione attribuisce, annualmente, con l'adesione del Presidente della Repubblica, il Premio America, il cui obiettivo è riconoscere e stimolare iniziative e opere volte a favorire i rapporti tra Italia e Stati Uniti d’America. Vengono premiate alte personalità che si siano distinte per il loro operato e abbiano raggiunto importanti risultati a favore dell'amicizia transatlantica.

Tra i premiati una lunga serie di personalità italiane e non, della politica, dell’imprenditoria, del cinema, dello spettacolo, della letteratura e non solo, tra i quali Alain Elkann, Paolo Mieli, Carla Fendi, Franca Sozzani, Laura Biagiotti.

Carissimo Carlo, sono fortemente rammaricato di non potere intervenire alla presentazione del libro di Enzo Mignosi 'Il Signore sia con i boss' organizzata dalla tua associazione culturale. Un impegno inderogabile, purtroppo, mi impedisce di essere tra voi.

Come giornalista e come modesto cultore della nostra storia patria, sono stato e sono molto interessato all'argomento che è al centro del vostro dibattito; e già il fatto che un giovane collega abbia dedicato ad esso tanto impegno mi fa ben sperare per l'avvenire della nostra Sicilia.

Il rapporto tra Chiesa e società in Sicilia è stato sempre molto travagliato anche a causa del singolare privilegio concesso ai re di Sicilia di rappresentare nell'Isola il Papa ( legazia apostolica).

Per secoli la Chiesa, in Sicilia, è stata fortemente condizionata dal potere politico il quale usava nei suoi confronti la concessione di privilegi materiali che hanno portato, nei secoli, alla costituzione di un immenso patrimonio ecclesiastico.

Queste ricchezze che la Chiesa non era in grado di gestire direttamente sono, a mio parere, all'origine di quel perverso rapporto fra certi strati del clero e le cosche mafiose.

..................................................

Enzo Mignosi, giustamente, mette in evidenza i rapporti scandalosi fra clero e criminali, credo, però sia utile ricordare che ci sono sempre stati in Sicilia dei 'preti di frontiera' che come Don Pino Puglisi e altri suoi coraggiosi confratelli che operano nelle realtà più difficili di Palermo, hanno sfidato dal pulpito la mafia.

Ed io, laico convinto, ho il dovere di rendere, in questa occasione, testimonianza per un episodio che finora è rimasto relegato nella mia memoria familiare.

A cavallo fra Ottocento e Novecento Bagheria, come è noto, era uno dei centri del palermitano più funestati dalla violenza mafiosa.

Si stava passando dalla monocultura vitinicola a quella più ricca del limone. La ricchezza ha sempre attirato la mafia.

Lettere di scrocco ( si chiamava così allora il pizzo) danneggiamenti alle culture, era un esercizio abituale di quei delinquenti il taglio delle vigne e lo scorticamneto degli alberi di limone, sequestri di persona e assassini erano fatti quotidiani.

In quegli anni arrivano alla Chiesa del Miseremini ( la popolare 'Armi Santi') tre giovani sacerdoti animati da entusiasmo pastorale.

La Chiesa è in mano alla potente Congregazione del Miseremini nelle cui file erano presenti  temibili mafiosi.

Primo obiettivo dei giovani sacerdoti quello di mettere ordine all'interno della Chiesa  e di denunciare dal pulpito le violenze e gli assassini. Insomma erano dei preti pericolosi. E per questo bisognava farli tacere.

E così, nel classico stile mafioso, i boss armano la mano di uno sprovveduto sacrestano di nome Cola, anche lui in rotta con quei preti zelanti.

Allora nella Chiesa delle Anime Sante, frequentata soprattutto da poveri bracciati che nel giorno di festa curavano qualche piccolo appezzamento di terra, la domenica, l'ultima messa veniva celebrata all'una dopo mezzogiorno. A quell'ora le porte della Matrice erano già sbarrate.

Cola aveva svolto il suo servizio regolarmente e senza dare alcun segno di inquietudine. Quando i sacerdoti si ritirarono nella sacrestia per deporre i paramenti il sacrestano si appostò dietro una colonna e attese che i tre uscissero.

Erano arrivati al centro dell'altare maggiore (alla sacrestia si accedeva da una porticina aperta dietro l'altare appunto) lo sciagurato cominciò a sparare all'impazzata.

Convinto di averli massacrati Colà salì di corsa le anguste scale del campanile, si affacciò evide su un vicino terrazzo la donna che amava ( di nome Caterina) che, a quanto sembra, era stata la causa di un severo richiamo dei preti nei suoi confronti; la salutò con un grido disperato e si precipitò nel vuoto.

La Chiesa restò chiusa per molto tempo, l'attentato fu attribuito al gesto di un folle e tutto ritornò alla normalità.

I giovani preti si salvarono con la fuga. Ma non tornarono più sul pulpito a sfidare la mafia.

Uno se ne andò a insegnare latinoe greco nelle scuole italiane all'estero (Tunisi, Alessandria d'Egitto, Il Cairo), un altro dovette errare per anni per le parrocchie di altri paesi prima di diventare parroco della Matrice di Casteldaccia, suo paese d'origine, il terzo rimase a Bagheria ma si trasferì alla Matrice dove concluse negli anni '40 la sua missione pastorale.

Il parroco di Casteldaccia, nel secondo dopoguerra non solo fu uno dei pochissimi preti a schierarsi con i braccianti in lotta ma fece di più: andava alla Camera del Lavoro e zappava personalmente un suo piccolo appezzamento di terra.

Uno scandalo per l'allora cardinale di Palermo Ernesto Ruffini che proprio in quel tempo chiedeva al governo di Mario Scelba di dichiarare fuorilegge i comunisti.

Fu immediatamente rimosso. Contro l'ingiusto provvedimento lottò senza sosta e alla fine non sapendo a che santo votarsi pensò, nella sua disperazione, di rivolgersi al sottoscritto per far conoscere al Papa l'ingiustizia subita.!!!

Penso sia giusto consegnare alla memoria dei bagheresi i nomi di questi preti coraggiosi. Padre Paolo Lombardo era il prete contadino e battagliero di Cssteldaccia, Francesco Speciale, il professore, padre Furìa il cappellano rimasto a Bagheria.

Complimenti a Enzo Mignosi per il suo libro coraggioso, auguri a tutti voi per la vostra battaglia.

La mafia sarà sconfitta definitivamente quando dall'animo di ogni siciliano sarà estirpato il seme della cultura mafiosa.

 

GIUSEPPE   SPECIALE  1919-1996

altLaureato in filosofia, allievo del prof. Ferretti, sin da studente maturò la sua fede antifascista e la sua scelta politica. Dopo la guerra avviatosi alla carriera giornalistica, si iscrisse al partito comunista già nel 1944; fu direttore della redazione siciliana de L'Unità e redattore de La voce della Sicilia.

Fu consigliere comunale del Partito comunista a Bagheria dal 1952 sino al 1989, con una pausa dal 1973 al 1979. Eletto deputato al parlamento nazionale nel 1958, fu riconfermato nel 1963 e nel 1968.

Strenuo oppositore della mafia, è rimasto nella storia parlamentare il suo discorso alla Camera dei deputati dopo la strage dei carabinieri a Ciaculli nel 1963, fu tra i protagonisti della nascita della Galleria d'arte Moderna e contemporanea di Villa Cattolica a Bagheria intitolata a Renato Guttuso, oltre che autore di una miriade di articoli e di saggi coma 'La storia dei Florio' e 'Appunti per una storia di Bagheria'

 

nella foto Giuseppe Speciale tra Carlo Levi e Danilo Dolci

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