Ora sappiamo chi era l’uomo della carabina
Ma, la sera del 15 aprile, in casa Buttitta avvenne qualcosa che la Chiarello non disse, che rivelò invece la cognata Rosa, sorella del marito, di anni 23, Buttitta in Miosi. Incuriosita dal rumore delle schioppettate, dalle grida del sindaco inseguitore che, con la rivoltella in mano, pare, appunto, gridasse “ferma, ferma, l’assassino”, ( 1 ), s’affaccia all’uscio di casa che si trova quasi di fronte a quella dei suoi parenti, vede la cognata chiamarla agitatissima.
S’è alzata dal letto, è a piedi nudi, così attraversa la strada, entra in casa del fratello, vi indosserà un paio di stivalini, si rammarica, quando sarà interrogata, di non averli potuto restituire, la cognata trovandosi ancora in galera. La Chiarello è dunque molto agitata, bisogna andare nel camerino, prenderle un bicchiere di vino ma c’è un uomo che le fa segno di tacere, è là per nascondersi, presto andrà via.
Rosa Buttitta queste cose fin’ora non le ha dette “per quel sentimento di ripugnanza che si ha generalmente in quel comune a far deposizioni giudiziali per le vendette da cui sono colpiti i testimoni e perché infine non essendo in grado di indicare per nome quel giovane, le parve conveniente tacere….Però erasi alfine decisa di parlare chiaramente vedendo che il di lei fratello e la cognata erano trattenuti in arresto a scontare un male da altri commesso”. ( 2 )
La Buttitta non conosceva il nome di quell’uomo ma, pure, “lo ravvisò benissimo per un lavorante in pomidoro” ( 3 ) al servizio di un tal Fricano Onofrio ch’era stato suo vicino di casa. E ora, dopo che la Buttitta parla, Pellegrino Fornaciari non ci mette molto ad individuare l’uomo della carabina, lavorante in pomidoro e assassino che, peraltro, la donna “riconobbe in carcere…fra molti altri detenuti”. ( 4 )
Ma i killer imbrogliano la matassa
L’uomo si chiama Nicolò Todaro, fu Andrea, di anni 38, giardiniere, nato a Balestrate, ma da molti anni domiciliato in Bagheria. “Si posero subito gli artigli su costui ma, arrestato e interrogato, nega recisamente e si protesta innocente…come un serafino”. ( 5 ) Il 22 maggio 1883, durante il primo interrogatorio, egli nega dunque quanto la Buttitta gli aveva attribuito; quella volta fece anche i nomi di alcune persone che dovevano essere il suo alibi.
Lo smentirono e, il 28 maggio, “sottoposto di nuovo in questura ad un interrogatorio abile e paziente”, ( 6 ) il secondo, confessò raccontando la sua verità e cambiando le carte in tavola. Raccontò “la parte da lui avuta nel fatto, e cioè che durante la giornata del quindici u.s. aprile fu avvicinato nella piazza della Madrice da tal Gattuso Mariano fu Giuseppe d’anni 26, bracciante, e da Enea Giuseppe fu Giuseppe d’anni 39, contadino, vicino ai quali erano Scaduto Giuseppe fu Gaetano d’anni 51 e il di costui figlio Gaetano d’anni 29, , piccoli possidenti, e che il Gattuso gli disse che in quella sera si doveva uccidere l’assessore municipale Galeoto Salvatore fu Benedetto d’anni 50 perché aveva contrariato al Gattuso stesso una domanda diretta a far ritornare dal domicilio coatto un di costui zio, e perché aveva ragione di credere che si adoperasse per far ammonire esso Gattuso”. ( 7 )
Il Gattuso gli disse che se si fosse rifiutato sarebbe stato lui ad essere ucciso; l’Enea gli procurò l’arma e gli indicò il luogo dove si sarebbe incontrato con l’altro killer. Costui era Belvedere Ciro, fu Antonino, contadino di anni 28, che egli conosceva. Disse che fu quest’ultimo a tirare “effettivamente verso un individuo che dall’insieme sembrava il Galeoto Salvatore, ma che egli “Todaro” si limitò a sparare in aria”. ( 8 )
Bersaglio dei cattivi tiratori non era perciò il sindaco ma un suo assessore; cosa dirà il Belvedere subito arrestato? Di essere stato costretto, anche lui sotto minaccia di morte, ad accettare il mandato di uccidere l’assessore municipale Galeoto Salvatore; per giunta “ritrovandosi quasi ammattito, per avere la madre moribonda, accettò macchinalmente la proposta”. ( 9 )
E di non essere stato lui a sparare perché nel momento in cui a lui e al Todaro “parve di vedere spuntare nella folla l’aspettata figura del Galeoto Salvatore…all’atto di far fuoco…fu preso da tremito nervoso che gli fece abbassare l’impugnata pistola per modo che scattò a terra”. ( 10 ) Il Todaro aveva sparato in aria, a lui era caduta di mano la pistola. Chi dunque aveva sparato? Ma anch’egli, come il Todaro, e lo ammetterà dopo, è armato di carabina e non di pistola. Chi era stato a fornirgliela? Come il Todaro aveva tirato altre persone dentro quella faccenda, così farà adesso Ciro Belvedere.
Dice dunque che l’arma gli è stata data da Scianna-Ragusa Paolo, d’ignoti, d’anni 30, contadino, il quale, scortato dal cognato Ticali Salvatore, fu Giovanni, inteso Battaglia, d’anni 43, contadino da Bagheria, gli impose il mandato di uccidere. Di Ciro Belvedere abbiamo una breve descrizione fatta dal cronista del Giornale di Sicilia che lo vide in aula durante il dibattimento alle Assise di Palermo nella primavera del 1886. Scrive dunque il giornalista: “Il Belvedere è un giovanotto tarchiato, non brutto, tranquillo, fisionomia che non dice molto. Siede e non si muove più”. ( 11 ) Durante quel dibattimento egli si volle far credere folle tanto che il presidente del tribunale dovette rinunciare al suo interrogatorio. L’imputato dirà: “La coscienza di Belvedere non esiste; non ha dubbi da sciogliere; niente ricordo”. ( 12 ) E l’avvocato Marinuzzi, incaricato della sua difesa, “presenta una posizione a discolpa e chiede che vengano citati parecchi testimoni per provare che il Belvedere mostravasi pazzo sino dalla più tenera infanzia”, ( 13 )
Il ritorno dei Fratuzzi
Il Todaro aveva fatto i nomi di quattro persone; Ciro Belvedere ne aveva accusato altre due ma, una di queste, precisamente il Ragusa-Scianna, non se ne starà muto e farà, anche lui, le sue rivelazioni. Egli infatti “accettò di avere dato l’incarico di uccidere il Galeoto al Ciro Belvedere ma soggiunse di esservi stato costretto dalle minacce di Giangrasso Giuseppe e Gattuso Mariano, i quali avevano a lui dato il mandato della uccisione, ma si accontentarono di poi, che ne avesse passato l’incarico al Belvedere Ciro, a cui apprestò una carabina per la bisogna. Accennò infine alla credenza che il mandato originario dell’uccisione in parola fosse partito da un tal Majore Michele fu Antonino siccome uno dei capi più influenti e temuti della setta sanguinaria di quel comune”. ( 14 )
Alla data del rapporto del questore al ministro dell’Interno (10 giugno 1883 ) sono in carcere Todaro Nicolò, Belvedere Ciro, Scaduto Giuseppe, Scaduto Gaetano, Ticali Salvatore inteso Battaglia, Gattuso Mariano, Scianna-Ragusa Paolo, Giangrasso Giuseppe e Caltagirone Saverio. Chi è quest’ultimo? Arrestato “come colui che potrebbe avere somministrato una delle due carabine che per le note mani passarono a Todaro e Belvedere”, ( 15 ) probabilmente non c’entrava nulla e il suo nome non comparirà più da nessuna parte né tra quelli degli imputati durante il dibattimento alle Assise di Palermo.
Se tra gli arrestati compare dunque un nome nuovo, tra di essi invece non risulta quello dell’Enea Giuseppe che, secondo il Todaro, insieme al Gattuso Mariano aveva commissionato l’assassinio e ciò perché, scrive il questore, “m’abbisogna ancora per stabilire la esistenza in Bagheria di un Sodalizio Sanguinario di mafia che sarebbe in sostanza quello già noto sotto la denominazione dei Fratuzzi a capo del quale si troverebbe Mineo Giovanni fu Giovanni, curatolo di Sant’Isidoro, Ajello Alberto fu Nunzio, curatolo del principe Lanza Tedeschi, Majore Michele fu Antonino, Mineo Gaetano fu Francesco”. ( 16 )
Il questore propone promozioni e gratificazioni
Da ora in poi le indagini della P.S. imboccheranno la strada della ricerca dell’esistenza della associazione di malfattori a Bagheria. Ma, vedremo, dovranno anche riprendere quella dei mandanti dell’eccidio del 15 aprile perché un altro colpo di scena costringerà gli investigatori a ritornare al punto di partenza. Intanto, poiché secondo il questore “l’esito dell’importante processo può ritenersi fin da ora assicurato”, ( 17 ) sente “il dovere di segnalare…il vice ispettore sig. Cav. Fornaciari, a cui è dovuto il merito della principale scoverta, nonché il brigadiere Scozzari, e gli agenti Nasca, vice brigadiere, Albanese Calogero e Randazzo Pasquale, tutti del corpo delle guardie di P.S. a cavallo per l’esecuzione degli ordini ricevuti e per gli abili sommari interrogatori agli arrestati ed inoltre il Cav. Perego per l’efficace concorso prestatomi nelle indagini, e negli interrogatori formali e nell’accurata e diligente compilazione e sintesi di tutti gli atti, non che il Delegato Ayala Enrico, maresciallo Bianchi Federico delle guardie a piedi, per l’assistenza diligente e zelante che prestarono in ogni occorrenza. Ond’è che io riassumendo mi permetto di proporre la promozione di merito per Cav. Fornaciari e per lo Scozzari; una gratificazione di L. 200 per Cav. Perego, di L. 100 per il delegato sig. Ayala, di L. 50 pel maresciallo Bianchi e L. 30 cadauno per tre agenti delle guardie a cavallo Nasca Luigi, Albanese Calogero e Randazzo Pasquale”. ( 18 )
Continua
la foto in basso mostra l'ingresso della Caserma dei CC "Bagheria bassa", che si trovava a Palazzo Inguaggiato, dove c'è ancora leggibile la scritta 'Comando Stazione'
Note
1-ASP, Gabinetto Prefettura, busta 100, fascicolo 116, 1887, rapporto del Questore al Ministro dell’Interno, 10 giugno 1883.
2-Ibidem.
3-Ibidem.
4-Giornale di Sicilia dell’8 maggio 1883.
5-Giornale di Sicilia del 29 aprile 1883.
6-ASP, rapporto del Questore al Ministro dell’Interno, cit.
7-Ibidem.
8-Ibidem. In aula, al dibattimento del 1886, sulla dichiarazione del Todaro di avere sparato in aria, ironizzerà ferocemente il sostituto procuratore generale cav. Marsilio quando dice: “Si ringrazi lo spirito gentile del Todaro…che se sparando in aria uccise tre individui, tirando contro la folla…ne avrebbe ucciso trecento!” ( Giornale di Sicilia del 12 maggio 1886 ).
9-Giornale di Sicilia del 30 aprile 1886.
10-ASP, rapporto del Questore al Ministro dell’Interno, cit.
11-Giornale di Sicilia del 30 aprile 1886.
12-Ivi.
13-Giornale di Sicilia del 7 maggio 1886.
14-ASP, rapporto del Questore al Ministro dell’Interno, cit.
15-Ibidem.
16-Ibidem.
17-Ibidem.
18-Ibidem.
Ottobre 2014 Biagio Napoli