Cronaca

Questa mattina il bar " Il castello" è aperto, e vuole significare un ritorno alla normalità assieme alla solita animazione in piazza: un'altra aria  rispetto allo sbigottimento e allo spettrale silenzio di ieri mattina, quando, a botta calda tutte quelle auto di carabinieri e transenne di nastro,  avevano fatto d'istinto pensare ai casteldaccesi a qualcosa di più terribile: ieri sera a a tarda ora è rientrato in paese, da Roma dove si trovava, il sindaco, ora neoeletto deputato regionale, Giovanni  Di Giacinto.

Si indaga in tutte le direzioni: è ancora questo il messaggio che viene dai Carabinieri  della locale Stazione, del Nucleo Investigativo  della Compagnia di Bagheria, del Comando Provinciale di Palermo e della Sezione Investigazioni Scientifiche per i rilievi,.che stanno indagando sul grave episodio verificatosi all'alba di ieri nella piazza principale di Casteldaccia.

Si procede ad ascoltare familiari e conoscenti, ad effettuare riscontri, a cercare il bandolo di una vicenda gravissima, che non può trovare giustificazione in qualche dissapore o discussione animata, ma nessun provvedimento di fermo giudiziario è stato sinora adottato.

Si guarda anche ai filmati delle telecamere di sorveglianza, numerose a Casteldaccia soprattutto in piazza a servizio di attività commerciali private, per cercare di trovare una traccia utile all'indagine.

Quanto alla personalità di Antonino Tomasello pochi i dubbi, non solo di familiari e conoscenti, ma della voce di popolo, sulla personalità della vittima: una persona perbene, un grande lavoratore che aveva  ristrutturato il bar "Il Castello" già qualche anno fa rilevandone la gestione.

Il feritore ha sparato un solo colpo mirando alle gambe: un messaggio, un avvertimento dunque: il Tomasello non ha sentito arrivare nè auto nè moto, ha sentito una fitta alla gamba sinistra ed è andato ad accasciarsi sulla panchina che si trova in piazza e dove sono state trovate chiazze di sangue. 

Adesso il ferito sta meglio, ma non è stato ancora sottoposto ad intervento chirurgico per l'estrazione del proiettile.

Messaggio anomalo a voler pensare ad una richiesta di pizzo: la mafia usa altri segnali che, nella loro rozzezza,  seguono però una gradualità, un crescendo che va dal tentativo di persuasione, all'attak, alla bottiglia di benzina, sino all'incendio e al danneggiamento; e comunque nessuna minaccia e nessuna richiesta estortiva sarebbe pervenuta al Tomasello.

Anche se, come si preme a sottolineare da parte degli inquirenti, nessuna pista viene esclusa, si scava soprattutto nei rapporti interpersonali di Tomasello, un qualche contrasto o una qualche ruggine pregressa con qualche paesano e  di cui si mormora in paese, e che i carabinieri hanno già comunque provveduto a verificare.

 

Era ancora buio pesto quando alle 6.15 di questa mattina Antonino Tomasello, 52 anni titolare del bar "Il Castello", uno dei bar storici della piazza di Casteldaccia si apprestava ad iniziare la propria giornata di lavoro: era appena sceso dall'auto una Seat Toledo scura posteggiata sul marciapiede di fronte al bar e si accingeva ad attraversare la strada, quando uno sconosciuto gli ha sparato addosso: uno solo il colpo che ha colpito Tomasello alla gamba sinistra.

L'uomo sanguinante si è accasciato su una panchina dove ci sono ancora le tracce di sangue e di due fazzolettini di carta con i quali l'uomo ha cercato di tamponare la ferita: nel frattempo sono arrivati i soccorsi.

Pare che sia  riuscito a telefonare alla moglie, ma anche qualcuno che aveva sentito i colpi, si è precipitato a soccorrerlo.

E' stato chiamato il 118 che ha provveduto a ricoverarlo al Buccheri La Ferla. Le condizioni dell'uomo non sembrano particolarmente gravi.

altSono accorsi i carabinieri che hanno provveduto a transennare l'intera piazza in attesa della scientifica che dovrà effettuare i rilievi per capire quanti colpi siano stati effettivamente sparati e con quale arma.

Gli inquirenti sono alla ricerca di una traccia che possa fare capire chi possa avere avuto interesse a compiere un gesto criminale nei confronti di un uomo, che è  incensurato, e che nel giudizio della gente comune è considerato un grande lavoratore ed una persona perbene.

Parrebbe di sì stando a quanto sta venendo fuori dalle indagini della Procura di Firenze che ha indagato sulle stragi dal 1993 al 1995: ma non solo, si ipotizza che anche l'esplosivo che servì a preparare l'attentatuni a Falcone prima e a Borsellino poi possa in qualche modo provenire da Porticello.

Stando ai riscontri che gli investigatori della DIA hanno fatto delle dichiarazioni, ma non solo, di Gaspare Spatuzza, è da Porticello che cosa nostra si approvvigionava di esplosivo, anche perchè nella frazione marinara di Santa Flavia, per i motivi che vedremo, trovare tritolo in grande quantità non era particolarmente difficile, anzi.

Adesso tutti, sia pure a mezza bocca, ammettono quanto in paese da sempre si  mormorava e si sapeva: ai pescatori succedeva anche abbastanza spesso di pescare soprattutto con le paranze bombe, siluri, mine e quant'altro: i più scrupolosi li consegnavano alla Capitaneria o addirittura li ributtavano in mare per evitarsi grattacapi, altri di pochi scrupoli quando scoprirono che si ci poteva guadagnare, nascondevano i ritrovamenti alle autorità.

Bombe, siluri e mine venivano conservati immersi sott'acqua con delle boe di segnalazione che solo gli interessati conoscevano. Quanto alla manipolazione dell'esplosivo c'era una sorta di fai da te, con qualcuno più pratico a fare da maestro; quindi niente artificieri specializzati o esperti.

Di qualcuno si ricorda addirittura che si portò a casa una grossa bomba d'aereo, e la nascose sotto il letto, correndo il rischio di far saltare in area un intero quartiere.

Il tritolo ricavato dalle bombe recuperate serviva per confezionare al tempo le bombe di profondità che venivano utilizzate per la pesca di frodo, oppure veniva venduto al mercato nero.

Per dire della disponibilità di esplosivo, ricordiamo che già nel 1974 sempre a Porticello  in una delle "pirriere" in prossimità di piazzetta D'Amato fu operato un sequestro di oltre 700 chilogrammi di tritolo.

Ma perchè tante bombe e proprio a Porticello ? i motivi sono sostanzialmente due.

Durante i bombardamenti inglesi e americani che furono scatenati su Palermo dal 1942 al 1943 accadeva spesso che gli aerei di ritorno dalle incursioni, si liberassero delle bombe inutilizzate facendole cadere in mare, e che nel tempo pur sommerse da sabbia e fango la paranza con la sua imboccatura rigida, smuovendo il fondo riportava alla luce questi reperti che rimanevano impigliati nelle reti e issati a bordo.

Ma c'è un altro fatto che spiega l'abbondanza di bombe nel litorale palermitano: nel 1945 in località "Cavallo di mezzo" tra Bagheria e Santa Flavia saltò letteralmente in aria  il deposito americano di armi e di esplosivi, in dialetto chiamata " a pruvuliera".

Quando gli americani bonificarono il sito ammassarono tutte le bombe, le mine e l'esplosivo rimasti inesplosi su una chiatta ormeggiata a Porticello in quello che al tempo era poco meno di un rozzo pontile di attracco: secondo la vulgata popolare quella chiatta sbatteva pericolosamente contro il molo, e rappresentava un serio pericolo per la piccola comunità.

Fu Giuseppe Lo Coco, l'unico pescatore che al tempo aveva la barca  a motore, (tutte le altre utilizzavano ancora il vecchio sistema removelico), che, incaricato dalle autorità militari americani, agganciò la chiatta la trainò lontano dal paese e dalla terraferma e scaricò in mare il pericoloso carico, guadagnandosi, pare per questo gesto di coraggio e altruismo, il titolo di cavaliere del lavoro.

Il tratto di mare dove scaricò bombe e quant'altro, dai pescatori è inteso "u fussuni" un avvallamento circa un miglio fuori dall'imboccatura del porto di Palermo in direzione nord est, "fussuni"  appunto che va da una profondità di 100-120 metri sino a 600 metri e oltre, e che la gente di mare conosce bene.

E pare che Giuseppe Lo Coco mai abbia rivelato il luogo in cui affondò le bombe.

Dicono però i pescatori, che ampliando sempre più l'area in cui si recavano a pescare, "u fussuni" era uno di quelli in cui, almeno un tempo, si pescavano bene i gamberi: è possibile che l'azione reiterata delle imboccature delle paranze smuovendo il fondo fangoso abbia praticamente riportato alla luce, se così si può dire, una sorta di miniera a cielo aperto di materiale esplodente, dove qualcuno di pochi scrupoli si approvvigionava di tritolo.

Quanto a Cosimo D'Amato, inteso "u marruoccu", anche se brusco di carattere, non gli viene attribuita dalla gente comune una caratura mafiosa particolare, tutt'altro. Aveva il libretto di pescatore, ogni tanto si imbarcava, ma lavorava soprattutto come camionista e uomo di fatica nella zona del mercato ittico conducendo una vita modesta.

C'è stata infatti molta sorpresa  nell'apprendere stamane che è sospettato di avere fornito centinaia o addirittura migliaia di chili di tritolo, per alcuni degli attentati che hanno sconvolto l'intera Italia.

nella foto di copertina  Cosimo D'Amato

 

Potrebbe aver procurato l'esplosivo anche per l'attentato a Giovanni Falcone alla moglie ed alla  scorta, Cosimo D'Amato il pescatore di Porticello arrestato in seguito alle indagini della Procura di Firenze sugli attentati di mafia dal 1993 al 1995.

Continuano ad emergere altri particolari sulle motivazioni che hanno portato al suo arresto.

Secondo quanto scrive repubblica.it, determinanti per la sua individuazione sarebbero state le dichiarazioni del pentito Gaspare Spatuzza. “Circa un mese e mezzo prima della strage di Capaci – ha messo a verbale l'ex sicario del clan Brancaccio - vengo contattato da Fifetto Cannella, mi dice di procurare una macchina più grande che dobbiamo prelevare delle cose. A piazza Sant’Erasmo, ad aspettarci, c’erano Cosimo Lo Nigro e Giuseppe Barranca. Noi aspettavamo anche Renzino Tinnirello. Quindi siamo andati a Porticello, ci siamo avvicinati alla banchina e c’erano tre pescherecci ormeggiati: siamo saliti sopra uno di questi e nei fianchi erano legate delle funi, quindi abbiamo tirato la prima fune e c’erano praticamente semisommersi dei fusti, all’incirca mezzo metro per un metro. Quindi, abbiamo tirato sulla barca il primo fusto, poi il secondo e li abbiamo trasferiti in macchina”.

Su queste dichiarazioni hanno lavorato i pm di Firenze, ma anche i colleghi della Procura di Caltanissetta, che si occupano dei misteri del '92: su una di quella barche ci sarebbe stato Cosimo D'Amato, il regista di quella delicata consegna.

Le indagini di Caltanissetta sul pescatore palermitano sono ancora in corso, anche per verificare eventuali complicità.

Non è semplice recuperare esposivo da siluri o bombe inesplose, bisogna essere artificieri particolarmente esperti e questo rimanda ad eventuali complicità in alto loco di cui si è sempre parlato negli attentati mafiosi del '92 e degli anni successivi.

Ma su questo aspetto le dichiarazioni del collaboratore Spatuzza sono ancora coperte dal segreto istruttorio. E a Caltanissetta, D'Amato è tecnicamente ancora un indagato a piede libero.

Le indagini di Firenze, invece, si sono concluse nelle scorse settimane: D'Amato è adesso accusato di aver procurato l'esplosivo per gli attentati di via Fauro a Roma (14 maggio 1993), via dei Georgofili a Firenze (27 maggio 1993), San Giovanni in Laterano e San Giorgio al Velabro a Roma (28 luglio 1993), via Palestro a Milano (27 luglio 1993). L'uomo avrebbe fornito il tritolo anche per il fallito attentato allo Stadio Olimpico di Roma del 23 gennaio 1994.


 

 

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