Cronaca

E’ accaduto nella tarda giornata di ieri, quando i Carabinieri della Compagnia di Termini Imerese hanno tratto in arresto in flagranza di reato due persone residenti a Casteldaccia, con l’accusa di rapina in concorso e lesioni personali.

Il fatto delittuoso si è verificato nella centralissima Via Bevuto a Termini Imerese, strada ricca di esercizi commerciali, decisamente affollata nelle ore diurne.

I due malviventi, Cartabella Vincenzo, classe 1990, noto alle Forze dell’Ordine, e Liga Damiano, classe 1996, entrambi disoccupati, dopo aver pedinato una donna 61enne del luogo, per alcuni metri, sfruttavano il momento migliore per aggredirla e strapparle i preziosi orecchini che indossava.

La malcapitata, a seguito dell’aggressione, rovinava a terra, accusando dei forti dolori alla regione cervicale che la costringevano a ricorrere alle cure mediche. Opportunamente visitata dai sanitari del locale Ospedale “S. Cimino”, la stessa veniva riscontrata affetta da “trauma cervicale” associato alla grande paura per l’aggressione subita, giudicata guaribile in gg. 4 s.c..

I Carabinieri di Termini Imerese, tempestivamente informati da alcuni onesti e collaborativi cittadini “che avevano appena assistito all’aggressione” acquisivano le informazioni necessarie per addivenire alla identificazione e successiva cattura dei due abili predatori.

Nello specifico il Cartabella  veniva rintracciato a piedi, nei pressi di via Bevuto e subito condotto in caserma mentre le ricerche continuavano per il suo complice, con cui si era immediatamente allontanato separatamente.
L’attività di ricerca si concludeva dopo alcuni minuti quando LIGA veniva individuato nei pressi della Stazione Ferroviaria di Termini Imerese mentre tentava di confondersi tra altre persone in attesa del treno.

Pertanto, veniva bloccato e condotto in Caserma. Al termine delle formalità di rito, per entrambi, su disposizione della competente Autorità Giudiziaria, si sono aperte le porte del carcere “Cavallacci di Termini Im., in attesa della convalida.

Presumibilmente i due rapinatori avevano raggiunto il centro cittadino con il treno.

La refurtiva è stata subito riconsegnata alla vittima che ha ringraziato i Carabinieri per l’immediato intervento che ha portato alla cattura dei due malfattori, grazie anche alla collaborazione di onesti cittadini indignati per l’inaudita violenza.

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Cartabella Vincenzo                                         Liga Damiano

 

Suscitò forte impressione  la storia della donna bagherese che  l'8 aprile 2014  lanciò letteralmente il figlio, appena nato e nudo, nel balcone attiguo della vicina di casa nel quartiere Incorvino: il piccolo ancora bagnato e insanguinato 'scivolò' letteralmente lungo tutta la lunghezza del balcone andando a finire all'estremità opposta, sbattendo la testa.

Il miracolo, perchè tale fu, passò attraverso l'intervento provvidenziale di una vicina di casa che, pur non abitando nell'appartamento si trovava là per caso, e la vista di questo 'fagottino'  la incuriosì. Poi l'inttrvento della volante della Polizia, furono gli agenti a dare, per così dire, i primi soccorsi e poi gli operatori del 118 completarono il  miracolo.

Il bambino già cianotico ed in grave ipossia fu rianimato dai sanitari del Buccheri La Ferla, si salvò e gli fu imposto il nome di Angelo.

Ieri la mamma quarantenne bagherese è stata condannata a sei anni, in seguito alla'ccusa di tentato omicidio nei confronti del figlio appena nato, la sorella invece è stata assolta: eppure l’accusa aveva chiesto una condanna più severa proprio per la sorella, di 41 anni, giudicata dalla giurìa del tribunale invece estranea ai fatti.

Le due sorelle vivevano in condizioni precarie assieme al padre cieco.

La sentenza è del Gup di Termini Imerese Sabina Raimondo, che ha accolto in parte le richieste del pm Francesco Gualtieri e in pieno le tesi dell’avvocato Antonino Agnello, che assisteva l’imputata scagionata (nei cui confronti la richiesta era stata di otto anni).

Farà ricorso in appello, invece, l’avvocato Sergio Di Gerlando, legale della mamma di Angelo Raffaele, il bimbo che, nonostante un trauma cranico e l’arrivo in ospedale in condizioni disperate, si salvò. Per la donna la richiesta dell’accusa era stata di sei anni e otto mesi. Senza gli sconti previsti per il rito abbreviato la condanna nei suoi confronti sarebbe stata nove anni. 

Adesso la mamma vive in una casa protetta e secondo quanto ci è stato riferito ha avuto la possibilità di rivedere il piccolo 

Una storia tristissima e drammatica, frutto di ignoranza, emarginazione sociale e di abbandono.

 La Dia sta procedendo ad un sequestro di beni per centinaia di milioni di euro a Giuseppe Acanto, commercialista di Villabate, ritenuto vicino alle cosche mafiose locali.

L’operazione, il cui valore è paragonabile solo ai sequestri milionari nei confronti dei grandi costruttori mafiosi del passato, è ancora in corso e non ne vengono resi noti, al momento, i dettagli.

Si tratta di beni mobili e immobili, rapporti bancari e capitali di numerose aziende che il commercialista ritenuto  gestiva anche per conto terzi ma che erano nella sua disponibilità o comunque a lui riconducibili.

Le indagini della Direzione investigativa antimafia - coordinate dal direttore nazionale Nunzio Ferla e dal capo centro Riccardo Sciuto - sfociano in uno dei più grossi sequestri mai disposti dalla sezione Misure di prevenzione del Tribunale di Palermo. Tutti i particolari dell'operazione saranno resi noti alle 11 nel corso di una conferenza stampa a Villa Ahrens, sede della Dia di Palermo.

Parlando di Acanto il pentito Francesco Campanella  aveva detto che era coinvolto nella megatruffa di Giovanni Sucato, il mago dei soldi di Villabate, che fece a lungo parlare di sè verso a cavallo tra la fine degli anni '80 e i primi degli anni '90, per la sua 'capacità' nel moltiplicare gli investimenti che incautamente molti fecero con lui. Acanto era pure finito sotto inchiesta, ma alla fine la sua posizione fu archiviata. 

Acanto è stato più volte accostato al clan mafioso dei Mandalà di Villabate. In particolare, la vicenda della sua candidatura alle regionali del 2001, nella lista del Biancofiore, è stata cristallizzata dai giudici che hanno condannato Totò Cuffaro per i favori resi a Cosa nostra dall'ex presidente della Regione. Acanto raccolse 1941 voti, ma non gli bastarono per ottenere uno scranno a Sala d'Ercole. Fu il primo dei non eletti, ma in parlamento ci arrivò dopo l'arresto di Antonio Borzacchelli (coinvolto nell'inchiesta sulle talpe nella Dda di Palermo, Borzacchelli fu successivamente assolto dal reato di concussione, mentre la violazione del segreto istruttorio fu dichiarata prescritta).

 Campanella nel riferire su Giuseppe Acanto, che era stato consigliere comunale dal 1990 al 1994,  lo inseriva nell'elenco dei politici che avrebbero avuto rapporti e frequentazioni con gli esponenti mafiosi. Erano gli anni in cui i Mandalà si sarebbero attivati per ottenere dal consiglio comunale una variante che desse il via libera alla costruzione di un mega centro commerciale. L'inchiesta, però, finì con un nulla di fatto.


 

Si è aperta, nell'aula bunker del carcere palermitano Pagliarelli, l'udienza preliminare a carico di 29 tra boss ed estorsori dei clan mafiosi di Bagheria, Altavilla Milicia, Casteldaccia, Villabate e Ficarazzi, che furono arrestati nell'Operazione Reset del 5 giugno 2014. Sono imputati, davanti al gup Sergio Ziino, a vario titolo di associazione mafiosa, estorsione e omicidio. 

L'accusa in giudizio è rappresentata dal pm Francesca Mazzocco. Quarantacinque le richieste di costituzione di parte civile: associazioni antiracket, vittime del pizzo, familiari dell'imprenditore Giuseppe Sciortino, andato in fallimento perchè stretto dalla morsa delle estorsioni e suicidatosi dopo essersi rivolto ai carabinieri e i parenti di Antonio Canu, ucciso a Caccamo nel 2006.

Sulle richieste e sulle questioni preliminari, legate alle produzioni documentali sollecitate da pm e difesa, il gup si pronuncerà alla prossima udienza del 15 maggio.

Tra gli imputati boss storici come Nicola Greco e Carlo Guttadauro, fratello del cognato del boss latitante Matteo Messina Denaro e fratello del medico, Giuseppe, che per anni ha retto la cosca di Brancaccio e Giuseppe Di Fiore che i pentiti chiamano "la testa dell'acqua", la sorgente del clan a cui si doveva obbedienza assoluta. 

Rispetto alle iniziali ipotesi di reato, nei confronti di alcuni principali imputati alcune delle accuse si sono attenuate, essendo decaduta nel caso di Nicola Greco l'aggravante di essere il 'capo dei capi'; è stato scagionato e  scarcerato Franco Pipia perchè ritenuti insufficienti gli elementi a sostegno dell'accusa;  Carlo Guttadauro per motivi di salute ha ottenuto i 'domiciliari', come pure ai domiciliari si trova Francesco Raspanti, cui però sono stati  sequestrati i beni; due degli imputati Benito Morsicato e Salvatore Lo Piparo hanno deciso di collaborare con i magistrati, per cui il processo nei loro confronti è stato stralciato.

Sul banco degli imputati ci saranno pertanto: Carlo Guttadauro, Francesco Pipia, Giorgio Provenzano, Giovanni Pietro Flamia, Giovanni Di Salvo, Nicolò Lipari, Francesco Pretesti, Francesco Raspanti, Francesco Speciale, Francesco Terranova, Giovanni La Rosa, Fabio Messicati Vitale, Bartolomeo Militello, Giuseppe Comparetto, Atanasio Ugo Leonforte, Emanuele Cecala, Michele Modica, Pietro Lo Coco, Andrea Lombardo, Leonardo Granà, Vincenzo Maccarone, Carmelo Nasta, Paolo Salvatore Ribaudo, Giovan Battista Rizzo, Giovanni Salvatore Romano e Salvatore Buglisi.

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