Il 30 Aprile del 1982 non esistevano ancora i telefonini: eppure la notizia intorno alle 10 del mattino si trasmise per la città , come un sordo brontolìo di tuono che cresce , cresce, sino a deflagrare. Da una bocca all'altra, da un telefono all'altro.
L'incredulità dapprima, di fronte all'enormità dell'evento, poi la telefonata ad un amico all'Università: la corsa concitata in Federazione, dove troviamo la tragica conferma: hanno ucciso Pio e Rosario.
E nel giro di qualche ora ci ritroviamo in migliaia e migliaia in Piazza Massimo, sbigottiti e smarriti, e tutti con la stessa domanda: "Perchè Pio La Torre e Rosario Di Salvo?"
Perchè, ci chiedemmo quel giorno. Ed ancora un perchè non ce l'abbiamo: anche se l'ipotesi più corretta la formulammo subito.
La mafia anche allora era disposta a tollerare, se non addirittura a incoraggiare l'antimafia chiaccherona e parolaia, ma guai a cercare di toccare beni, ricchezze e affari.
E La Torre questo aveva capito e cercato di fare, proponendo l'aggiornamento della legislazione sul sequestro dei beni mafiosi in modo da renderla più efficace e penetrante, con una legge che oggi porta il suo nome.
Il 2 Maggio i funerali con decine di migliaia di persone, in Piazza Politeama con Enrico Berlinguer, le cui parole all'inizio della commemorazione funebre suonarono in maniera semplice: "Pio La Torre è stato ucciso a poche centinaia di metri da dove era nato" (la zona di Palermo detta del "Parco"): quasi a fissare in poche parole un percorso di vita, oltre che un percorso politico e ideale.
Pio La Torre io l'avevo conosciuto sin dalla fine degli anni sessanta, quando mi avvicinai al Partito Comunista, di cui La Torre era allora il segretario provinciale.
Aveva La Torre con Bagheria e i suoi braccianti un rapporto forte, intenso, continuo.
Perchè proprio a Bagheria, lungo tutti gli anni '50 occupandosi di braccianti e contadini e problemi dell'agricoltura, Pio aveva incontrato Mimmo e Ignazio Drago, Peppino Tornatore, Agostino Aiello, Peppino Speciale, Peppino presentato, Mimiddu Giammarresi, Nicola Monforte, Graziella Vistrè, e tanti, tanti altri che sono ancora con noi, Antonio Martorana, Nino Cirrincione, Nino Gambino, Silvestre Scardina, Michelangelo Sciortino, che con passione e sacrifici (e anche con tanto settarismo, adesso lo possiamo dire) avevano costruito quel grande movimento di riscatto degli sfruttati e dei braccianti senzaterra, che si organizzarono nella Federbraccianti e nel Partito Comunista.
Quando nel tardo autunno del 1981, e dopo la sconfitta del Partito Comunista alle elezioni regionali, Pio La Torre, da Roma , dove ricopriva il ruolo di responsabile nazionale dei problemi dell'agricoltura, tornò a Palermo, per assumere l'incarico di segretario regionale, fece una cosa semplice, che diede subito la percezione di un cambio di passo e di mentalità: dedicò giorni e giorni ad ascoltare segretari di sezione (ed io fra questi), sindacalisti, esponenti del mondo della cooperazione e delle organizzazioni di categoria.
Parlò con centinaia di compagni, chiedendo ad ognuno notizie, informazioni, pareri, consigli, e chiudendo con la domanda: "Perchè abbiamo perso? Cosa possiamo, cosa dobbiamo fare per rilanciare il partito?".
La nostra sezione, assieme ad altre della Provincia, segnalò un malessere montante all'interno dei nostri simpatizzanti e del nostro elettorato per un "coinvolgimento" di uomini e strutture del mondo della cooperazione agricola di sinistra nei fenomeni di truffe e illeciti arricchimenti nel settore degli aiuti CEE per il sostegno dell'agrumicoltura in crisi (per intenderci il cosiddetto "scafazzo").
Pio La Torre diede disposizione a quelli che venivano chiamati all'epoca i "probiviri" del partito, perchè su queste vicende sviluppassero una indagine interna, che effettivamente si svolse, ed in cui vennero interrogati decine di compagni.
Non ci furono provvedimenti immediati. Bisogna però capire che La Torre, al di là di un certo modo agiografico e celebrativo di ricordarlo, era un uomo di partito, formatosi nel periodo duro di Pietro Secchia e Girolamo Li Causi.
Il partito sopra tutto e sopra tutti insomma: mai e poi mai avrebbe consentito una pubblica gogna per gli eventuali responsabili, che avrebbe potuto esporre i comunisti ad attacchi propagandistici e capziosi: La Torre era della teoria, (e della pratica), che i panni sporchi si lavano in casa.
Per chiudere questa vicenda, si svolse nel mese di aprile, un paio di settimane prima che venisse ucciso, un'assemblea con i comunisti di Bagheria nei locali dell'allora Circolo "L'incontro" , cui partecipò Pio La Torre.
In un locale quella sera pieno fino all'inverosimile, fu individuata una soluzione che oggi definiremmo "soft" , e che La Torre aveva già avviato, vale a dire una sorta di rotazione di compiti e di responsabilità per i compagni "chiaccherati", per non rendere all'esterno l'idea di capri espiatori.
L'assemblea, dobbiamo dirlo, ad onor del vero, si concluse con qualche mugugno.
Subito dopo quell'assemblea, io, allora segretario della sezione, Peppino Speciale, capogruppo, Gino Castronovo, Peppino Saitta, consiglieri comunali e quest'ultimo anche presidente della cooperativa "La Sicilia", lo invitammo a cena, a Porticello da Nello El Greco, naturalmente assieme a Rosario Di Salvo.
Ed attorno ad un tavolo, e senza i formalismi, le allusioni e le reticenze, inevitabili in una assemblea pubblica, gli rappresentammo in maniera chiara e forte, il rischio che dietro questi fenomeni degenerativi delle risorse comunitarie a sostegno delle produzione agricole, si potesse annidare cosa nostra.
Ebbene, di quella sera, conservo ancora due immagini nitide e indelebili.
L'espressione forte e serena di Rosario Di Salvo, che con grande discrezione non intervenne nella discussione, pur avendo lavorato per anni presso una cooperativa agricola bagherese, e la risposta che alla nostra osservazione, ci fece Pio La Torre.
Guardandoci negli occhi, con quello sguardo che ti entrava dentro, come solo lui sapeva fare: "Ma compagni - ci disse - pensate veramente che io queste cose non le sappia e non le abbia già capite da tempo?
Fu l'ultima volta che lo incontrai da vivo.