La Certosa di Palazzo Butera dei Branciforti

La Certosa di Palazzo Butera dei Branciforti

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"Una volta la Certosa era il premio migliore concesso allo svago della nostra fanciullezza, dopo i severi studi di greco e di latino, un premio che ci portava nell'estasi e nel rapimento di uno strano mondo di personaggi tutti in cera".

La Certosa era il regno del silenzio, dove, come in un convento fiammingo, ci senbrava di sentire il lieve tintinnìo di un rosario, i cui chicchi venivano sfilati dalle dita dei frati vegliardi, curvi in preghiera, assorti nella contemplazione più austera.
Non vi era forestiero che, venendo a Bagheria, non desiderasse ammirare l'originalità della nostra "Certosa", dove Ercole Michele Branciforti, principe di Butera, volle riunire le statue di cera di alcuni celebri personaggi, quasi tutti contemporanei, vestiti del bianco saio claustrale.


Gli albums dei visitatori portavano le firme di spiccate personalità e di illustri turisti e scrittori, che hanno celebrato l'importanza storica ed artistica della originale e mistica dimora.
Nel grande parco della villa Butera, accanto ad una fitta e pittoresca pineta, si eleva un piccolo edifizio di stile romano-antico, con un bel portico. Per una scala a chiocciola, che sovrasta l'antica strada provinciale si va al piano superiore. Sulla porta un sacrista, con una piccola brocca in mano sorrideva maliziosamente al visitatore. Si crede fosse l'effigie d'un sacrista della chiesa dei Butera.
Poi si allungava un corridoio, in fondo al quale un vecchietto arzillo scopava tranquillamente.

Si voleva in esso raffigurare un antico servitore di casa Butera. Nella prima stanza a destra , un moro serviva il pranzo ad un autorevole personaggio: l'ammiraglio inglese Nelson; nella stanza appresso, seduto ad un tavolo, stava Comingio, in soave rapimento d'amore; e nell'altra stanza Adelaide, una figurina assai delicata.
Costoro ricordavano la pietosa storia di un amore santificato nel chiostro.
Quanti ricordi e quante testimonianze!
In quell'umile e sereno chiostro, mi pareva che quei grandi personaggi defunti mi fossero sempre più vicini e si svegliassero ai pellegrinaggi di grandi spiriti dell'umanità.
O, cara, solitaria, Certosa, tanto appartata, con la tua mistica decorazione, coi tuoi mattoni rossi, con le colonne erette su un piano di sabbia marina, col tuo chiuso mondo circondato dai muri della clausura, oggi le tue mura diroccate, altere e aspre come le nudi strofe di un poema medievale che durà un secolo e il cui testo è reso più dolce dalla patina grigia del tempo si innalzano come un ammonimento fatto di muta collera e desolazione.

Addio, vetusta dimora cadente, che ci hai fatto sentire il profumo che sempre credono di sentire coloro che assistono alla morte di una Santa; addio Palladio, dove finiscono le ultime stanze della contemplazione celeste e dove comincia la rapsodia della dolce terra dei giardini, dove il principe Butera, con il suo annunzio di pace ed il suo esilio volontario, condusse Bagheria, piccola Atene della Conca d'Oro, verso l'aurora più primaverile e iridescente del mondo.
Addio, ma tu, aereo mondo di personaggi in cera, esprimi un auspicio, che è speranza e certezza: "molte cose rinascono che già erano cadute": così dicevano gli antichi romani.
Ad ogni resurrezione è una voce di gloria ed una volontà di superamento del passato che coronano ed impreziosiscono l'opera di pazienza e di perseveranza dell'uomo".

Tratto da L’uomo e l’opera, di Castrense Civello. L'articolo è stato pubblicato nel 1962 su "Lavoro italiano nel mondo".
Le foto in alto sono tratte dal volume "L'occhio e la parola" di Angelo Restivo; la foto in basso ritrae la Certosa oggi.