ll territorio di Bagheria, dunque, alla metà del 1600 era suddiviso fra una miriade di proprietari, nobili e borghesi. Il latifondo, ancora presente nel ‘400 e nel ‘500 quando i nobili Campo e il pretore di Palermo, Pietro Speciale, coltivano la canna da zucchero nei loro estesissimi possedimenti di Ficarazzi e Bagheria, era ormai scomparso.
Anche l’antico feudo di Solanto, ormai, si era ridotto press’a poco alle proporzioni di un “girato”.
Questa trasformazione del regime proprietario e di quello delle culture si era cominciata a delineare agli inizi del ‘400 con le concessioni date appunto ai Campo e agli Speciale di coltivare la canna da zucchero nella valle dell’Eleuterio e nell’”agrum” di Bagheria.
Poi si era andata intensificando, in concomitanza con lo sviluppo urbanistico (colmatura del corso dei fiumi Kemonia e Papireto, raddrizzamento e prolungamento del Cassaro, taglio di via Maqueda ecc..) e il conseguente aumento della popolazione.
L’inurbamento di grandi masse di contadini, attratte nella capitale dal boom delle costruzioni edilizie, aveva trasformato Palermo in un grande mercato di consumo. Enormi quantità di merci (grano, vino, olio) affluivano ora a Palermo non soltanto per essere esportate oltre mare ma per soddisfare la sempre crescenti esigenze del mercato locale.
E queste merci dovevano essere prodotte il più vicino possibile alla città. In Sicilia, infatti, non esistevano strade e anche il trasporto via mare era reso difficile, oltretutto, dalla presenza sempre minacciosa dei corsari del Nord Africa. ( Re Ferdinando iv che guarda la tonnara di Solanto (olio su tela di Paolo De Albertis n.d.r.).
Ma c’era un altro motivo che spingeva nobili e borghesi danarosi a intraprendere importanti imprese di bonifica agraria nell’ambito del territorio della capitale dell’Isola: il regime daziario di assoluta preferenza riservato alle derrate alimentari prodotte nell’ambito del territorio palermitano che, come abbiamo visto, a est si estendeva sino al torrente Milicia.
Produrre vino olio grano e formaggio entro questi confini era, dunque, doppiamente conveniente: il trasporto costava poco e il mercato era assicurato, e dal consumo interno e dalle correnti di traffico che facevano capo al porto di Palermo.
Una testimonianza della intensa coltivazione del territorio palermitano è ancora oggi visibile nelle decine di torri rustiche che ancora sorgono nelle campagne palermitane.
Molte di queste torri sono nel territorio di Bagheria. Alcune, come quelle di Chiarandà ed Amalfitano, presentano ancora l’aspetto originario, altre, come quelle di Sperlinga, Roccaforte (foto a destra, n.d.r.), Parisi, Casaurro, San Marco sono state inglobate, nel 1700, in costruzioni più o meno auliche destinate a dimore per la villeggiatura.
Attorno a queste torri (alcune risalgono al 1400) si collocano le misere capanne dei contadini addetti alla coltivazione di quelle che possono considerarsi vere e proprie aziende agricole capitalistiche.
Che in quell’epoca la popolazione agricola del Palermitano vivesse sparsa nelle campagne è testimoniato non soltanto dalla esistenza di queste torri rustiche, ma anche da altre fonti.
Torre di Palazzo Butera
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- tratto da "Peppino Speciale, Giornalista, politico, storico" -