Un augurio per l'anno che verrà

Un augurio per l'anno che verrà

Politica
Typography

Non possiamo esimerci, come è d'obbligo ogni anno al giro di boa, dal formulare un augurio a tutta la nostra comunità per l'anno che verrà, senza infarcirlo dei soliti buonismi  di cui ridondano sms che mandiamo o riceviamo o quelle psudoriflessioni, che intasano i social, anzi cercando accuratamente di evitare i luoghi comuni che accompagnano queste occasioni.

Dalla situazione in cui il paese nostro, ma non da solo, si è venuto a trovare, se ne verrà fuori, questo è certo: sono il quando e il come che sono affidati alla volontà e alle capacità degli uomini.

Quelli della mia generazione che  hanno vissuto la propria adolescenza di pari passo con il cosiddetto miracolo italiano a cavallo del 1960, e poi la giovinezza con i movimenti di rivolta sociale e culturale del famoso '68 (l'unico vero spartiacque che abbia segnato il passaggio di un'epoca),  e poi la maturità partecipando alle grandi battaglie dei diritti civili degli anni '70-80,  sino alla rivoluzione informatica dell'ultimo decennio, erano abituati ad una crescita economico-sociale che si presumeva ininterrotta, "le magnifiche sorti e progressive" di leopardiana memoria.

Si è vero: le crisi economico-sociali, quelle che un  tempo si chiamavano le congiunture economiche ci sono sempre state, l'andamento sinusoidale della ricchezza, del lavoro e dello sviluppo spostava però sempre più in alto il punto di massimo della curva , perchè dalle crisi si era sempre usciti in avanti, con nuove produzioni, con nuovi modelli, con nuovi consumi, con la produzione di lavoro e di nuova ricchezza; insomma, per farla breve, alla fine le condizioni di vita e di lavoro, almeno quelle apparenti, erano sempre migliori delle precedenti.

Adeso no: facciamo finta di non aver capito che dalla crisi attuale se ne esce solo se si torna indietro, riducendo i consumi, cambiando i modelli di vita, tagliando sul superfluo, ma qualcuno dovrà tagliare, e sta già tagliando, anche sul necessario .

Ma la cosa più grave è che a non averlo inteso è quella politica che questi processi dovrebbe indirizzare e precorrere.

Si sta peggio, si consuma meno, si taglia ovunque, ma con un pretesto o con un altro rimangono  immarcescibili, immutabili, eterni, i privilegi dei politici.

Tre esempi per dimostrarlo: lo stesso Mario Monti, che pure ha svolto un lavoro per certi aspetti necessario e doloroso,  è riuscito appena a scalfire con una scure poco affilata, i privilegi della casta dei politici e dell'alta burocrazia pubblica.

L' Assemblea regionale siciliana appena insediatasi, sia pure con un presidente della Regione che fa un annuncio rivoluzionario al giorno contro abusi, sprechi e privilegi,  richiamandosi allo statuto autonomistico ha deciso che i tagli operati con decreto dal governo nazionale sulle indennità dei parlamentari regionali, in Sicilia non  possono trovare applicazione, perchè abbiamo l'autonomia, e quindi prima dobbiamo recepire la norma nazionale e dopo si vedrà.

Sì, certo risparmieremo, ma per sapere quando, quanto e come c'è tempo.

A Bagheria i consiglieri comunali, che pure ogni ogni giorno affrontano stuoli di poveracci licenziati da quei pochi servizi che il comune erogava, o di gente senza lavoro  che stenta a mettere assieme il pranzo e la cena, continuano imperterriti a bruciare centinaia di migliaia di euro di risorse comunali per trastullarsi con le loro commissioni di studio e di lavoro, di cui nulla deve però trapelare all'esterno, perchè gli  argomenti all'ordine del giono sono trattati come segreti di stato. 

Ma uno spiraglio di fiducia rimane sempre: fra qualche settimana, malgrado il Porcellum, uno strumento i cittadini in mano l'avremo per cambiare le cose e si tratterà di usarlo nel modo giusto.

Ed è questo è il vero augurio che facciamo a Bagheria, alla Sicilia e all'Italia.

Che piuttosto che astenersi dall'usare l'unica vera arma per cambiare le cose, si vada in massa a votare per dire basta alla politica dei ladri, dei farabutti, dei demagoghi e degli imbroglioni, per far sapere in maniera forte e chiara che gli italiani di loro non vogliono più saperne, neanche se gli promettono la luna.