Riceviamo e pubblichiamo
L’ultima verifica programmatica e il dibattito sulle possibilità concrete dell’amministrazione Sciortino d’incidere concretamente sui processi di sviluppo della Città, assicurando un’efficiente gestione della cosa pubblica, ci stimolano
alcune riflessioni.
L’accusa d’andreottismo, con cui viene definita, ultimamente, la gestione politica del Sindaco Sciortino, appare quasi un complimento; in pratica quelle doti di attingere a piene mani all’armamentario di democristiana memoria si esprimono nella capacità di:
1) minimizzare, soprassedere e differire la soluzione delle questioni più difficili,
2) non prendere posizione su vicende spinose, per evitare di perdere simpatie e consenso tra fette di elettorato
3) temporeggiare quanto più è possibile, sperando che il corso degli eventi definisca, attraverso mediazioni estenuanti, soluzioni indolori,
4) mantenere possibilmente sacche di inefficienze e di rendite di posizioni nella burocrazia comunale, per non sovvertire equilibri consolidati,
5) navigare a vista , aggregando e disfacendo in tempi celeri alleanze e cordate,
6) sfruttare a dovere una particolare inclinazione al trasformismo, all’opportunismo ed al compromesso di un Consiglio Comunale, che se anche registra individualità di rilievo, nella sua coralità esprime una scarsa capacità di indirizzo e di programmazione,
7) attuare un esagerato presenzialismo, farcito di convenevoli incensatori che fanno apparire un ruolo attivo nella vita della Città,
8) utilizzare, con accortezza, lo strumento delle verifiche programmatiche, quando non si sa che pesci pigliare e la litigiosità è arrivata ad un punto in cui nessuno ci capisce più niente.
Tutte azioni di quella filosofia del “non governo” riassunta nella formula del “tirare a campare”; utile certamente a sopravvivere politicamente, ma non ad amministrare con efficienza, efficacia, competenza e professionalità una complessa ed articolata macchina burocratica, né tanto meno a governare la delicata e disastrata realtà economica e sociale della nostra Città.
Il riferimento a condotte politiche di stampo democristiano, non è casuale.
Difatti, intorno alla figura di Biagio Sciortino, con l’ingresso ufficiale dell’UDC nella Giunta Comunale, si è realizzato il ricongiungimento familiare, che ha visto nuovamente approdare nei posti nevralgici dell’amministrazione, quel ceto politico che affonda le radici nella tradizione democristiana e che a Bagheria vedeva compartecipi le correnti afferenti a Salvo Lima e quindi ad Andreotti e a Piersanti, e successivamente a Sergio Mattarella .
D’altronde il Partito Democratico bagherese, dove la presenza degli ex Democratici di Sinistra è ridotta al lumicino, nella sostanza, si configura come la diretta emanazione della vecchia corrente mattarelliana, (ex sinistra democristiana) che a Bagheria faceva già capo negli anni’80 e fino al 1993 ( data che segna lo scioglimento della D C) al sen.Zangara; corrente che contendeva a quella Limiana la leadership del partito e del governo della Città.
A Bagheria sembra che si torni al passato e che Sciortino sia il regista e la mente politica dell’operazione.
Noi riteniamo che non si possa gestire la Città con schemi, metodi, atteggiamenti mentali e politici che, forse, potevano valere vent’anni fa.
Allora nella gestione degli Enti locali, il sistema delle responsabilità era frammentato, non esistevano vincoli di bilancio e Patti di stabilità e i deficit di bilancio, prodotti da Comuni, Provincie, Regioni e dal settore pubblico allargato, erano risananti dalla finanza statale ( una delle cause dell’enorme debito pubblico accumulato tra la fine degli anni’70 e gli anni’80).
Allora amministrare richiedeva doti, capacità e abilità diverse rispetto a quelle che si richiedono adesso. Allora bisogna saper spendere per creare soprattutto consenso.
Agli inizi degli anni Novanta, invece, col passaggio dalla prima alla seconda Repubblica, con l’elezione diretta del sindaco, il nuovo sistema di selezione della classe dirigente, contribuisce a creare nei cittadini molte aspettative.
Non si trattava più di gestire finanziamenti “a pioggia”, utilizzati spesso per tamponare le emergenze, e che in realtà, come la nostra, azzeravano le capacità produttive e di sviluppo del territorio.
Il nuovo sistema richiedeva agli amministratori un approccio manageriale, con una capacità di sostenere la cultura d’impresa, soprattutto in un territorio, come quello del comprensorio bagherese, nel quale una vecchia politica e la pervasività del sistema mafioso avevano disincentivato la volontà di investire e rischiare , negando legalità e alterando le regole del libero mercato.
In un sindaco, con il nuovo sistema, si ricercavano le doti e le qualità del buon amministratore: motivare i giovani; sostenendo il merito e offrendo opportunità , trasmettere fiducia, diffondere cultura del progetto e d’impresa , divulgare le modalità d’accesso ai finanziamenti, comunicare i casi di successo, favorire soluzioni condivise e innovative.
Occorreva adottare, di fatto, la nuova “filosofia” dei Fondi strutturali; gli unici in grado di determinare occasioni e processi virtuosi di sviluppo.
A Bagheria, l’unico interprete di questa filosofia e desiderio di cambiamento , dopo la parziale esperienza amministrativa di Giovanni Valentino, riteniamo sia stato Pino Fricano.
Seppure con i limiti di una sindacatura, a volte eccessivamente accentratrice e solitaria nei processi decisionali, Fricano ha, in ogni modo, conseguito risultati lusinghieri sul fronte dell’afflusso dei Fondi Strutturali e sulla percezione di una leadership istituzionale forte, autorevole, competente e d’impronta manageriale.
Condividiamo, a questo proposito, il pensiero di Angelo Gargano, quando lo valuta, per l’esperienza maturata, e non solo da sindaco di Bagheria, come una risorsa importante per la nostra città, da utilizzare non appena si sarà conclusa la vicenda giudiziaria.
Sebbene condivido le motivazioni e reputo lodevole la proposta avanzata da Angelo Gargano di supportare l’azione politica dell’Amministrazione Comunale, con un Comitato d’esperti , che possa individuare strategie possibili di sviluppo, nutro riserve in ordine alla praticabilità della proposta. Innanzi tutto perché rischierebbe di fungere da foglia di fico per coprire l’inefficienza e l’incapacità politica dell’amministrazione.
Secondariamente, e soprattutto, perché le politiche di sviluppo si attivano, governando la partecipazione dal basso, costruendo percorsi che mettano a frutto competenza e una conoscenza compiuta delle reti e delle dinamiche sociali ed economiche.
Ruolo a cui è chiamata e preposta la politica, per le ragioni esposte sopra. Non vi è saggio che possa supplire la politica, a cui spetta la funzione di guida, d’indirizzo e di programmazione.
Se questa non è in grado di svolgere tali funzioni, tocca ai cittadini sostenere il cambiamento, mandando a casa i Sindaci incapaci, ed eleggendone altri competenti.
Michele Balistreri (nella foto a fianco) è presidente del Centro Studi "Primavera Liberale".