Gli attuali amministratori bagheresi sono donne e uomini di solida cultura cristiano-cattolica. In loro omaggio mi permetto di iniziare questa mia riflessione con un passo del Nuovo Testamento, per la precisione alcune righe della Lettera di Giacomo:
«Che giova, fratelli miei, se uno dice di avere la fede ma non ha le opere? Forse che quella fede può salvarlo? Se un fratello o una sorella sono senza vestiti e sprovvisi di cibo quotidiano e uno di voi dice loro: “Andatevene in pace, riscaldatevi e saziatevi”, ma non date loro il necessario per il corpo, che giova? Così anche la fede: se non ha le opere è morta in se stessa» (2, 14-18).
Parafrasando San Giacomo si potrebbe dire: A che servono le dichiarazioni programmatiche di un politico se non sono accompagnate dalle opere corrispondenti? Anche la fede politica «se non ha le opere è morta in se stessa».
Mi sono ricordato del passo di San Giacomo vedendo la fotografia dell’assessore alla pubblica istruzione, Maurizio Lo Galbo, insieme con l’omologo regionale, Roberto La Galla, a commento iconico dell’annuncio che «verranno assegnati (fondi regionali) per l’Edilizia “leggera” circa 140 mila euro destinati ad adeguamenti (anticovid) e manutenzione di tutte le strutture scolastiche di Bagheria». Questo – parole del nostro assessore – «per garantire una scuola sicura ai nostri bambini».
Queste le dichiarazioni di fede. Andiamo alle opere. I «nostri bambini» (a me le espressioni retoriche non piacciono ma non ha importanza) torneranno (dovrebbero tornare) a scuola fra qualche settimana. Che una promessa di finanziamento (notare il futuro: «verranno assegnati») fatta oggi possa incidere sulla qualità della attività scolastica che sta per iniziare nessuno, proprio nessuno, che conosca minimamente i complessi iter amministrativi potrà crederci. Sono certo che non ci credano nemmeno l’assessore e il sindaco.
C’era un’opera a cui l’amministrazione comunale, che avesse voluto essere coerente con l’insegnamento di Giacomo, si sarebbe dovuta impegnare notte e giorno a partire dal mese di marzo, quando scoppiò il Covid: l’accelerazione dei lavori di rifacimento della scuola Gramsci. Quei lavori, invece, che prima erano lentissimi, con la pandemia sono scomparsi.
Meno fotografie, meno parole e più opere, caro Sindaco e cari Assessori. Le dichiarazioni di fede, anche di quella politica, senza le opere non salvano nessuno. Giacomo docet.
La scuola Gramsci. È uno dei capitoli più esemplari della storia post-fascista di Bagheria. Dal momento che si interseca con la mia biografia di studente e di uomo pubblico racconto per i giovani (e i lettori saranno quasi tutti giovani rispetto a me) alcuni fatti da me vissuti.
I lavori di costruzione di quella scuola iniziano quando frequentavo il ginnasio. Siamo negli anni 1959-60, sessant’anni fa. Gli attuali amministratori non erano stati ancora nemmeno pensati dai loro genitori. La scuola fu progettata come sede del liceo classico ‘Francesco Scaduto’, in quegli anni ospitato nei locali della scuola Cirincione. A noi studenti del ginnasio veniva detto che il liceo l’avremmo fatto nella nuova sede. La stessa cosa sarà detta a mia figlia quando frequenterà la scuola media. Questa notizia per dare un’idea ai giovani politici di adesso della celerità supersonica con cui procedevano (procedono?) i lavori per la realizzazione delle opere.
A un certo punto, credo a metà degli anni ottanta del secolo scorso, l’edificio in costruzione da 25 anni o forse di più diventò sede della scuola elementare ‘Gramsci’. Qualche anno dopo l’inaugurazione, fatta in pompa magna naturalmente, fu dichiarato parzialmente inagibile.
Per un certo tempo non ne ho saputo più nulla. Nel 1995 accetto la proposta di fare parte della Giunta Valentino. (Valentino è il primo sindaco bagherese eletto a suffragio diretto). In una delle prime riunioni di Giunta viene presentata la delibera di un pagamento cospicuo e a mio parere spropositato del collaudo dei lavori appena ultimati di rifacimento della scuola (non furono i primi e non saranno gli ultimi lavori di manutenzione straordinaria). Ho timidamente manifestato le mie perplessità per la somma esagerata da pagare. Sono stato zittito con questa motivazione: “Queste sono le tariffe regionali e non compete a noi modificarle”. Non avevo e non ho alcuna competenza per smentire un’asserzione così categorica. Ho firmato anch’io la delibera di pagamento.
Passa qualche mese e in giunta arriva una proposta di delibera dell’ufficio tecnico per iniziare la procedura di appalto di lavori di riparazioni del tetto della palestra della scuola: pare che a ogni pioggia la palestra si allagasse. Mia obiezione: “Ma non avevamo avuto un mese fa l’ok da un costosissimo collaudo?”. Cominciavo a capire meglio come funziona la gestione del bene comune. I quasi due anni di assessorato furono per me una grande e indimenticabile scuola di politica reale. Ringrazio il sindaco Giovanni Valentino per avermi consentito di fare questa esperienza straordinaria.
La scuola dopo qualche anno di un suo uso parziale viene chiusa definitivamente perché inagibile. L’anno scorso l’amministrazione pentastellata ha inaugurato i nuovi lavori di ricostruzione con pomposi servizi giornalistici e dichiarazioni trionfalistiche. Oggi i lavori tacciono nel silenzio assordante di assessore e sindaco. In attesa di altro finanziamento e altri servizi fotografici sul radioso futuro della scuola a Bagheria.
Se uno storico locale avesse la pazienza di studiare tutte le carte (se ancora esistono) relative alla storia della scuola ‘Gramsci’ scoprirebbe molte cose interessanti della politica, di destra e sinistra, bagherese e della questione meridionale.
Cari giovani amministratori, concentratevi in silenzio sulle opere e lasciate perdere le parole e le fotografie. Se avete a cuore, come dicono le vostre parole, la scuola dei «nostri bambini» (quanto è brutta questa espressione!) cominciate a seguire da vicino i lavori della scuola Gramsci. Con la sua apertura potreste trovare gli spazi di cui la scuola ha attualmente bisogno e alleggerire il bilancio comunale dal pagamento di alcuni affitti, probabilmente anche questi molto onerosi, di locali per uso scolastico.
Una raccomandazione: accertatevi che i lavori siano svolti a regola d’arte e, a lavori finiti, nominate collaudatori competenti e, soprattutto, indipendenti.
Ripeto il monito di Giacomo: «Che giova, fratelli miei, se uno dice di avere la fede ma non ha le opere? (…) la fede se non ha le opere è morta in se stessa».
Franco Lo Piparo
Professore Emerito Università deglI Studi di Palermo