Dopo vent'anni di successi, il territorio adesso sembra perdere importanza, insieme agli attori politici che ne hanno fatto una bandiera.
Il "trionfo del territorio" si era materializzato, in modo inequivocabile, dal 1992 con l'avanzata della Lega Nord, che spostava il baricentro politico del Paese dal centro alla periferia.
Una tendenza rafforzata e istituzionalizzata l'anno seguente, dalla legge 81 del 1993, che sancisce l'elezione diretta dei sindaci, e, insieme, dei presidenti di Provincia; sette anni dopo, nel 2000, lo stesso avviene per i presidenti di Regione, anch'essi eletti direttamente dai cittadini.
Le Province: oggi in Italia si contano ben 107 Province, che il governo tecnico guidato dal Prof. Mario Monti intende ridimensionare nel numero, in base a criteri tecnici che hanno orientato la “spending review”.
Accusate di essere oggetto di sprechi, le Provincie sono in effetti diventate nel tempo un livello istituzionale ed amministrativo sovrabbondante e costoso, con competenze sempre più limitate, sottratte via via dai Comuni e dalle Regioni.
Le Regioni sono state in questi ultimi anni pesantemente colpite dai tagli alla Sanità, che di fatto costituisce la principale “missione”: in effetti oggi le Regioni sono una “grande Asl”, visto che circa l'80% dei loro bilanci è "saturato" dai capitoli sociosanitari.
I Comuni oggi sono costretti a fare gli esattori delle imposte immobiliari, per conto dello Stato, aggiungendovi le loro sovrattasse a causa dei continui tagli di. trasferimenti Regionali e nazionali. Indotti, per finanziarsi, a edificare il territorio, con il risultato di degradarlo ulteriormente: infatti gli oneri di fabbricazione costituiscono, per i Comuni, la principale fonte di auto-finanziamento.
I sindaci, così, sono divenuti "sovrani a parole": hanno ottenuto competenze e visibilità, generato aspettative, senza, tuttavia, disporre di adeguati poteri. Oggi fanno i conti con risorse sempre più ridotte. Hanno tradotto e pagato la maggiore autonomia mediante una maggiore pressione impositiva.
Ciò determina impopolarità e disaffezione dell’elettorato, basti pensare che alle ultime elezioni amministrative oltre l’80% dei Sindaci uscenti non è stato rieletto.
Attraverso la spending review, il governo Monti, pur senza dichiararlo, ha, però, nei fatti, decretato la fine del federalismo all'italiana, che nel tempo si è tradotta nella moltiplicazione infinita delle Province, nel trasferimento, mediante referendum, di centinaia di comuni da una regione all'altra, in base a calcoli di opportunità e di vantaggio.
Si è trattato, per certi versi, di un federalismo irresponsabile, dove i spesso i governi locali non sono chiamati a rispondere delle loro scelte, innescando meccanismi di spesa e burocratizzazione ulteriori, che non prodotto l’auspicato “sviluppo locale”.
Il federalismo all'italiana è avvenuto senza un'adeguata cessione di autorità e, soprattutto, risorse, dal centro alla periferia, producendo solo conflitti fra Stato centrale ed Enti locali.
Così oggi assistiamo alla ri-centralizzazione delle scelte, alla crescente debolezza dei governi e dei governatori locali, alla difficoltà dei soggetti politici che si riferiscono alla questione territoriale, alla centralizzazione organizzativa dei partiti, alla marginalizzazione dei Sindaci, un tempo, Attori politici di primo piano e Soggetti di cambiamento.
Dal federalismo fiscale ci si attendeva grandi risultati: un’amministrazione pubblica più vicina ai cittadini e più efficiente, l’aumento della qualità e quantità di servizi e delle prestazioni pubbliche fornite ai cittadini, l’eliminazione degli sprechi e delle inefficienze e, di conseguenza, la riduzione della pressione fiscale complessiva.
E invece l’autonomia ha provocato una riduzione della spesa per investimenti, conti pubblici perennemente in difficoltà nonostante i continui tagli alla spesa e l’aumento della pressione fiscale, la di munizione delle prestazioni pubbliche più delicate (sanità, istruzione, assistenza).
Anche il nostro territorio vive un profondo processo di marginalizzazione, e un vero e proprio declino del territorio (economico e sociale) che sta perdendo i suoi fondamentali e i presupposti per una qualità sociale adeguata: settori economici in picchiata (l’edilizia, moltissime piccole e medie imprese, molto commercio al dettaglio e servizi amministrativi e tecnici) e settori a “bagnomaria”, cioè senza prospettive chiare (l’industria agro-alimentare e del pescato, un terziario che rischia di affondare con il calo dei consumi, degli investimenti, delle manutenzioni, dei servizi alle persone).
C’è una complessiva difficoltà a capire i settori e le filiere che possano nuovamente tirare e a definire aree di innovazione e di espansione non potendo essere nemmeno trainati dall’economia regionale e nazionale che sono anch’esse in forte difficoltà (ne sono una testimonianza i tassi di disoccupazione sempre più alti), e da una pubblica amministrazione in grado di generare redistribuzione e redditi, essendo in ogni caso insufficienti i settori del turismo e dell’agricoltura a colmare i gap presenti.
Le amministrazioni comunali del territorio sono in difficoltà e incapaci di invertire il ciclo economico: i trasferimenti regionali e nazionali in continua diminuzione costringono a tagliare i servizi essenziali (trasporto, scuola, assistenza sociale); tutte le amministrazioni Comunali (da Palermo a Bagheria, da Altavilla Milicia a Misilmeri) hanno aumentato le imposte locali (IMU, TARSU, IRPEF), senza peraltro riuscire a risolvere i problemi finanziari, dato l’enorme aumento della percentuale di cittadini che non possono pagare le maggiori imposte.
Occorre invertire questo circolo vizioso partendo da una vera riforma del federalismo italiano che dia responsabilità e risorse adeguate alla amministrazioni locali e riformi veramente la pubblica amministrazione, in modo da snellire i processi e favorire lo sviluppo, con interventi di politica economica idonei ad avviare la ripresa economica.
* Funzionario di Sviluppo Italia Sicilia S.p.A.