E Guttuso disse con veemenza: “Fine della storia”- di Ezio Pagano

E Guttuso disse con veemenza: “Fine della storia”- di Ezio Pagano

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L’identità di Bagheria come un dono di Dio è protetta dal Genius Loci da oltre duecento anni, non da scelte azzardate di amministratori o associazioni di categoria.

Renato Guttuso fa parte di questa immensa storia, sia come artista che come privato cittadino, perche per lui arte e vita sono due facce della stessa medaglia.
In questo scenario il Maestro bagherese ha vissuto da mito e l’ipotesi più accreditata è che ne fosse consapevole.
Carl Gustav Jung dice: “Sei quello che fai, non quello che dici che farai”. Una citazione che mi riporta al nostro Guttuso e mi spinge fino al più remoto angolo della terra, alla ricerca di un luogo acconcio alla spiritualità. Qui, in questo mondo sibillino degli Dei, cerco di incontrare Renato per dirgli faccia a faccia che racconterò la sua epopea attraverso quello che ha fatto e non quello che altri vogliono che si dica, certo che incrociando il suo sguardo percepirò il suo assenso.
Se è vero che palazzi, conti in banca, quadri e diritto a certificare l’autenticità delle opere, si possono ereditare in virtù di una adozione, non è altrettanto vero che la sua storia umana e artistica possa appartenere a qualcuno in virtù di un testamento. Per essere più esplicito, io non mi allineerò all’attuale gestione della sua immagine, per una sequela di errori che condannano il Maestro all’oblio.
Con rispetto per gli esegeta guttusiani, a parte alcune firme autorevole, come Leonardo Sciascia, Alberto Moravia, Alberto Arbasino, Marcello Sorgi e qualche altro, i restanti alimentano il metodo degli “Archivi Guttuso”, omettendo dalla conturbante vita del Maestro i fatti ritenuti scomodi come: la morbosa passione per le donne, il suo essere credente, la sua appartenenza al Partito Comunista scambiata per fede politica. Uno, due, tre, tanti interrogativi che se risolti potrebbero rivelarsi interessanti, mentre si continua a sottacerli, non comprendendo che sono azioni vitali per una star destinata a diventare un mito.
Queste storie ancora oggi sono adrenalina per i “salotti buoni” dell’aristocrazia e dell’alta borghesia, quelli che Renato amava frequentare, impersonando con disinvoltura il ruolo di Casanova, come testimoniano le lettere erotiche scritte per Martina, vere e proprie parodie felliniane. Lettere bloccate dagli avvocati dei Carapezza quando stavano per essere pubblicate: verità, amore e passione tenute in ostaggio dal potere giudiziario.
Sò di una giornalista che invitata a pranzo da Mimise e Renato, davanti ad una tavola imbandita in stile regale con piatti Meissen antichi, sottopiatti d’oro e maggiordomo con guanti bianchi, gli contestò un suo affresco perché non si armonizzava con l’architettura moderna che lo accoglieva; Renato visibilmente urtato da tanta insolenza la freddò replicando: ”Cara amica, la politica è un oggetto misterioso che mescola tutte le carte, sono d’accordo con Ugo (Sissa), il mio affresco ha scassato il ritmo di quello spazio prezioso, ma ho anche preso un sacco di soldi ed è stato il mio lancio. Fine della storia”.
Con questa sceneggiatura hollywoodiana mi appresto a scrivere un libro su di lui, consapevole di parlare di un grande artista che oltre a dipingere ottime opere d’arte ha alimentato il mercato con mediocre pitture, necessaria al mantenimento del suo stile di vita e a far fronte al suo entourage di corte.