“Dovunque c’è un poliziotto che picchia un ragazzo, dovunque c’è un neonato che piange di fame, dovunque si combatte contro il proprio sangue e si respira odio, cercami, mamma io sarò li. Dovunque c’è qualcuno che deve lottare per un posto dove stare o un lavoro decente o una mano amica, dovunque c’è qualcuno che combatte per essere libero, guarda nei suoi occhi ,mamma: mi vedrai.”
Una recensione non è un compendiato del libro, quello, spesso si trova nelle pagine iniziali o finali del testo, una recensione è cercare nell’anima dello scrittore, capire quello che vuole comunicare al lettore; non sempre vi si riesce, a volte si ha la visione personale del libro, ma di sicuro è quello che rimane indelebile nel lettore.
Si può scrivere in svariati modi, con la testa, per arrivare agli intellettuali, con il cuore, per gli innamorati, ma è quando la penna attinge l’inchiostro nel calamaio dell’anima che vengono alla luce libri come “Non ne calpesteranno nemmeno uno” di Maurizio Padovano.
Nel gennaio del 1942, all’arrivo di Lia, la nuova professoressa di italiano, le rondini, raccontate da Padovano, non sono quelle degli auguri del mondo etrusco, ma uccelli in cerca di libertà, che profetizzano con il loro volo, quella che sarà per lungo tempo una chimera……l’idea di libertà.
Le confessioni di Milio, sul libretto settimanale del professor Guaita, sono per Padovano quelle confessioni sull’orrore e sugli errori della guerra, momenti, che nessun uomo dovrebbe patire ancora meno un ragazzo obbligato a diventare grande troppo rapidamente in quella sala proiezioni del Cinema Impero.
La penna di Padovano evidenzia, un periodo storico, che sarebbe limitante definire buio, nel quale la volgarità dei “cameratizzi”, così come la definisce lo stesso scrittore, ancor prima che nella loro immagine, spesso grottesca, veniva intesa nella loro mente annebbiata chissà da quale smania di supremazia di razza. E proprio l’idea volgare di razza che distingue chi ti calpesta i piedi e magari chiede scusa da chi ti calpesta l’anima e non se ne rende conto.
Ancora una volta nella storia, sono le donne ad avere una coscienza critica e a preservare quel senso di ribellione e di sopravvivenza; la stessa reazione di una mamma quando il figlio è in pericolo.
E’ cosi, il detto che: “chi educa un bambino educa un Uomo, chi educa una Donna, educa un Popolo”, rimane più che mai attuale in ogni epoca.
Dopo la lettura rimangono due profondi insegnamenti che Padovano dà incidentalmente come una pennellata su una tela che è già un capolavoro ma che necessita del così detto tocco d’artista. Il primo messaggio è l’importanza della memoria, ricordare per non ripiombare negli stessi abbagli, il secondo, ancora più forte fa riflettere il lettore sulla possibilità di poter sempre scegliere da che parte stare a scapito di onori e privilegi.
A volte, citando Victor Hugo, anche un asino, che trasporta il suo fardello, può spostare la ruota di un carro per lasciare vivere un rospo, che ha la sola colpa di apparire non bello agli occhi degli storpi mentali.
“ la verità è l’essenza che distingue l’uomo bruto, è l’alito di Dio sulla creta di Adamo …ma c’è chi si compiace più della creta che dell’alito”
Giuseppe Gargano