Ne è passata di acqua sotto i ponti da quegli anni ’50, allorchè “u zu ‘Ntonio”, capofamiglia del tempo, secondo una leggenda metropolitana, pronunciò queste “fermate” parole:” Baarìa, avi a iassiri comu na batìa, e i paisani ‘un si toccanu”. Quella storica frase, se mai è stata pronunciata,
Certo, talvolta c’era da aiutare qualche “amico in difficoltà”, soprattutto in certi periodi dell’anno e si ricorreva alla questua presso grossi imprenditori o commercianti che davano un contributo quasi volontario.
Ma non aveva il carattere odioso e vessatorio dl pizzo vero e proprio diffuso invece in città, a Palermo.
La mafia mostrava il suo volto buono e pacioso, per non creare particolare allarme sociale.
Anche i conflitti interni ed esterni a cosa nostra, venivano risolte in maniera “soft”: omicidi in piazza, il minimo indispensabile; meglio la lupara bianca, così, diffondendo voci ad arte, restava sempre il dubbio che il tizio si fosse allontanato per una storia di debiti o di donne, e che un giorno, chissà, magari sarebbe tornato.
La mafia si “limitava”, per così dire, a far eleggere un proprio “amico” a presidente del Consorzio Idroagricolo, vera struttura del potere sino agli anni cinquanta e sessanta, e ad esprimere una sorta di “gradimento preventivo” sui sindaci, che prima della ultima legge di riforma venivano eletti dai consigli comunali. Allora l "business" erano l'acqua per irrigare, il commercio degli agrumi, e qualche piccolo appalto comunale.
Oggi è tutto cambiato, e non da ieri naturalmente.
Già negli anni ’70 e ’80 il boom edilizio, abusivo e non, costituì un serbatoio di denaro per la mafia e la maggiore capacità e volume di spesa dei comuni attirò le attenzioni sempre crescenti di cosa nostra, verso le imprese che lavoravano con la Pubblica Amministrazione: ma le piccole attività commerciali continuavano a dormire sonni tranquilli.
Senza considerare, che tra i redditi di cosa nostra di allora c'erano i corposi proventi provenienti dalla raffinazione e dal traffico degli stupefacenti.
E potrebbe sembrare un paradosso, ma la presenza nel territorio di boss riconosciuti era considerata dagli stessi commercianti una garanzia che “picciuttunazzi” e “cani sciolti” o addirittura “gente di fuori” potessero alzare la cresta.
Ed anche i conflitti cominciarono ad essere risolti con delitti pubblici ed esemplari: si pensi alla esecuzione delle tre donne, parenti del pentito Mannoia, all’inizio degli anni ’80, in Via Angiò.
A Bagheria le recenti operazioni antimafia hanno condotto in carcere capi e sottocapi, mancano punti di riferimento forti e riconosciuti; ci sono, probabilmente le nuove leve, poco note agli inquirenti, che sgomitano per assumere ruoli di rilievo; ed aumentano sempre le esigenze economiche di una cosa nostra colpita dai sequestri di beni e che deve far comunque fronte a spese imponenti, dagli onorari degli avvocati al sostegno delle famiglie delle persone arrestate.
Le circostanze, però, rendono sempre più difficile attingere risorse illegali dalle imprese; perché la legislazione penalizza pesantemente le aziende che pagano il pizzo, perché il mercato dell’edilizia è in crisi ed a Bagheria è praticamente inesistente, e perché i beni dei più grossi imprenditori , (Scianna, Aiello, Buttitta), sono sotto sequestro giudiziario, quindi “indisponibili” per cosa nostra.
Gli episodi degli ultimi anni, incendi di depositi e falegnamerie, attak nei lucchetti, proiettili, taniche di benzina lasciate all’ingresso dei cantieri, mezzi danneggiati, rubati o bruciati, si stanno intensificando negli ultimi mesi.
Nelle ultime due settimane bomba carta per una farmacia e due proiettili per una pizzeria.
Insomma si comincia a sparare nel mucchio.
Gli organi di indagine manifestano una seria preoccupazione, perché temono che dietro questi episodi ci sia ormai il fenomeno del racket diffuso e difficile da controllare, e che Bagheria non sia più da tempo la “batìa”, a modo suo vagheggiata, ru “zu ‘Ntonio”
La politica si limita ai soliti “pistolotti” di rito, che sembrano scritti in serie e sono buoni per tutte le stagioni, i centri antiracket e antiusura sono partiti e continuano ad andare avanti con il piede sbagliato, le associazioni dei commercianti si occupano solo di sensi unici e di corso Umberto chiuso o aperto, gli inquirenti cercano ancora di raccapezzarsi, e i commercianti, intanto, tremano.