Si è aperta l'udienza preliminare del processo che vede coinvolte 10 persone scaturito dall'inchiesta dei Carabinieri "Persefone" contro il clan di Bagheria, che il 13 settembre portò la Procura ad emettere un provvedimento di fermo per 8 degli imputati che, secondo la ricostruzione degli inquirenti, avrebbero anche deciso di ammazzare un uomo che non avrebbe rispettato le "regole" di Cosa nostra.
Il processo è iniziato ieri davanti al gup Paolo Magro. Alla sbarra ci sono due presunti capi della cosca, Onofrio Catalano, detto "Gino", e Massimiliano Ficano, oltre a Carmelo Ficano, detto "mezzo chilo", Bartolomeo Antonino Scaduto, Giuseppe Cannata, soprannominato "il musulmano", Salvatore D'Acquisto, Giuseppe Sanzone, Nicolò Mistretta, detto "Nicola", Antonino Aiello e Giuseppa Liliana.
Il giudice ha accolto la richiesta di costituzione di diverse parti civili: il Comune di Bagheria (rappresentato dall'avvocato Francesco Cutraro), il Centro Pio La Torre (avvocato Ettore Barcellona), Fai e Sos Imprese (avvocati Fausto Maria Amato e Maria Luisa Martorana).
Secondo la Procura, Catalano, che avrebbe operato con l'avallo di Francesco Colletti il boss arrestato nel blitz "Cupola 2.0" che aveva subito deciso di collaborare con la giustizia, ma poi avrebbe dovuto cedere il posto a Massimiliano Ficano, che avrebbe potuto contare sul legame con il capomafia ergastolano Onofrio Morreale.
Il clan avrebbe puntato su scommesse e droga, ma i boss sarebbero anche intervenuti per "mettere a posto" un panificio di Bagheria, che aveva la "colpa" di essere vicino al bar gestito da una persona vicina alla cosca e a cui avrebbe quindi intralciato gli affari. Così gli sarebbe stato semplicemente vietato di produrre dolci per non entrare in concorrenza con il bar.