Cronaca

Nella mattinata di ieri, i militari della Stazione di Casteldaccia, coadiuvati da personale della Compagnia Carabinieri Palermo-Piazza Verdi, hanno notificato un’ordinanza di applicazione di misura cautelare emessa dal G.I.P. del Tribunale di Termini Imerese (PA) per il reato di rapina aggravata in concorso, nei confronti di B.g., classe 1992, pregiudicato, e M.d., classe 1990, entrambi residenti nel capoluogo Palermitano.

Le indagini, dirette dalla Procura della Repubblica Termitana, erano scaturite dalla rapina perpetrata il 23 novembre 2011 ai danni di una tabaccheria di Casteldaccia, in cui era stata asportata una refurtiva del valore di circa 5000 euro. 

In quella circostanza uno dei rapinatori, nel corso della fuga, aveva gettato il passamontagna, prontamente recuperato dai militari della Stazione che lo inviavano ai Carabinieri del Reparto Investigazioni Scientifiche di Messina.

Al termine degli esami biologici, questi sono stati in grado di estrapolare il profilo DNA dell’autore, elemento che, sommato alle altre risultanze investigative, è risultato decisivo per la dimostrazione della colpevolezza dei due.

Gli autori, dopo la loro cattura, sono stati sottoposti alla misura cautelare dell’obbligo di dimora, con la prescrizione di non allontanamento dal Comune di Palermo.

Inizierà il 10 Ottobre il processo a carico di Pietro Mazzara e Maurizio Pirrotta, i due uomini che secondo l'accusa sostenuta dal p.m. Maurizio Bonaccorso, hanno ucciso Antonino Zito con un colpo alla testa a Bonagìa in una baracca di 'stigghiolari': il luogo del delitto fu dato alle fiamme per cancellare elementi utili a potere risalire agli assasini, e di questo dovrà rispondere Carmelo Ferrara accusato di favoreggiamento.

Il corpo bruciato di Zito fu rutrovato il 19 dicembre del 2012 nei pressi dell'abbeveratoio in contrada Spuches, territorio di Santa Flavia: tra gli inquirenti, prima del riconoscimento del corpo, era scattato 'l'allarme rosso', e nella zona del ritrovamento arrivarono subito alti ufficiali dei Carabinieri, perchè si pensò lì per lì che potesse trattarsi del cadavere di Carmelo Bartolone, sottrattosi all'obbligo di firma proprio qualche settimana prima per paura di essere eliminato dai mafiosi bagheresi.

Poi dalla fede e da altri particolari fu possibile dare un nome al corpo carbonizzato.

A consentire di risalire ai presunti assassini anche le testimonianza della moglie dello Zito, Rosa Anaclio, che segnalò agli inquireenti che i due imputati erano molto amici del marito e che con loro Antonino si vedeva molto spesso.

La moglie di Zito assieme ai genitori e ai fratelli del marito, si è costituita parte civile : 'Voglio giustizia per le mie figlie la più piccola delle quali aveva 13 mesi quando mio marito venne ucciso' ha dichiarato la donna al Giornale di Sicilia che ripercorre oggi la vicenda in un articolo di Riccardo Arena

Le cause dell'omicidio Zito, che faceva il fruttivendolo, perpetrato presumibilemente a freddo, verrebbero fatte risalire ad un regolamento di conti per controversie insorte tra i tre amici per questioni di rapine o di traffico di stupefacenti. 

Intorno alle 18 di questo pomeriggio grande paura, per fortuna senza alcuna conseguenza in corso Butera (ang. Via Morana) a Bagheria: due conci di tufo si sono staccati da un immobile degradato che si trova all'incrocio tra corso Butera e via Morana.

Un uomo che si trovava a passare in quell'istante è stato appena sfiorato dalle pietre crollate da una altezza di 5-6 metri, senza riportare per fortuna neanche un graffio: il passante è rimasto a lungo in evidente stato di choc ma ha rifiutato un intervento dell'ambulanza del 118.

Nel giro di pochi minuti Carabinieri e Polizia urbana prima e successivamente Vigili del fuoco, hanno transennato l'area che rimane comunque  ad altissimo rischio; da un primo sopralluogo i Vigili del fuoco hanno notato che il muro esterno dell'abitazione che sporge su via Morana si è praticamente staccato dal resto della costruzione e potrebbe venir giù da un momento all'altro.

Traffico rallentato per lo stazionamento di curiosi ed anche per i conducenti delle auto che si fermano per chiedere cosa sia accaduto

E' stato subito informato il proprietario dell'immobile, a cui verrà chiesto di provvedere ad un transennamento definitivo dell'area prospiciente l'edificio e successivamente di metterlo in sicurezza..

altSono almeno quattro o cinque negli ultimi anni a Bagheria i crolli di muri esterni, balconi o cornicioni di edifici fatiscenti che solo per un puro caso non hanno avuto gravi conseguenze.

Cinque anni fa in via Passo del carretto, il crollo di un balcone danneggiò un auto che stava transitando: rimase seriamente ferito il passeggero dell'auto che riportò diverse fratture.

Ma più recentemente in via Ignazio Lanza di Trabia, in corso Butera ed in via Litterio si sono avuti dei crolli, che non hanno arrecato danni alle persone.

Sono centinaia all'interno dei vecchi quartieri, ma come dimostra il fatto di oggi, anche sui corsi principali, le situazioni a rischio che andrebbero censite e messe in sicurezza.

E' ormai necessaria e urgente una seria politica di prevenzione prima che accada qualcosa di irreparabile.

 

La Guardia di Finanza di Palermo, su disposizione del locale Tribunale - Sezione Misure di Prevenzione, sta eseguendo un provvedimento con cui è stata disposta l’amministrazione giudiziaria, con conseguente sospensione temporanea dell’amministrazione ai sensi dell’art. 34 del decreto legislativo n.159 del 2011, nei confronti della Societa' italiana per il gas S.p.a. - Italgas S.p.a., con sede legale in Torino, azienda operante nel settore della gestione e dei servizi connessi alla distribuzione del gas metano sul territorio nazionale.

Il citato Decreto si collega all’esecuzione di analoghi provvedimenti, emanati nello scorso mese di maggio dalla Sezione Misure di Prevenzione del Tribunale di Palermo su richiesta della locale Procura della Repubblica – D.D.A. –, con cui è stata disposta la sospensione dell’amministrazione di tre importanti realtà imprenditoriali, ossia della Gas Natural Distribuzione Italia S.p.a. con sede ad Acquaviva delle Fonti (BA), della Gas Natural Vendita Italia S.p.a. e della Gas Natural Italia S.p.a., entrambe con sede a San Donato Milanese (MI), operanti nel settore della vendita e distribuzione del gas metano sul territorio nazionale, nonché della C.R.M. di Curatola Alfredo S.n.c., società di manutenzione con sede in Crotone.

Nel medesimo contesto investigativo, la Guardia di Finanza di Palermo, sotto il coordinamento della locale Direzione Distrettuale Antimafia, aveva eseguito – circa un anno fa – il sequestro di un patrimonio del valore complessivo di oltre 50 milioni di euro, nei confronti del gruppo imprenditoriale di Palermo, che ha curato, fra gli anni ’80 e ’90, la metanizzazione di diverse aree del territorio siciliano. Le indagini si erano concentrate, in primo luogo, sulla genesi del succitato gruppo, costituito negli anni ‘80 da Ezio Ruggero Maria BRANCATO, ex dipendente della Regione Sicilia, successivamente divenuto “imprenditore”, grazie all’investimento di ingenti risorse finanziarie di dubbia provenienza che si è presto sviluppato con la protezione di “Cosa Nostra” e di appoggi politici – in particolare dell’ex sindaco di Palermo Vito CIANCIMINO – arrivando ad ottenere ben 72 concessioni per la metanizzazione della Sicilia e dell’Abruzzo.

Gli approfondimenti investigativi avevano, in particolare, fatto emergere come i lavori di realizzazione della rete del gas siano stati, in più occasioni, affidati in sub-appalto ad imprese riconducibili a soggetti con precedenti specifici per mafia e ad altre ritenute “vicine” alla criminalità organizzata, in una logica di costante e reciproco vantaggio fra il gruppo e l’organizzazione criminale.

Sulla base dei riscontri effettuati, nel dicembre 2013, il Tribunale di Palermo aveva disposto un ulteriore sequestro, per un valore di circa 7,6 milioni di euro, di quattro società nei confronti della famiglia di imprenditori CAVALLOTTI di Belmonte Mezzagno (Pa), operanti da diversi anni nel settore edilizio e della manutenzione delle reti di gas metano. Secondo le risultanze indiziarie, sviluppatasi in diversi filoni d’indagine, i citati imprenditori avrebbero coinvolto familiari e collaboratori, alcuni dei quali privi di condizioni reddituali compatibili con l'entità degli investimenti necessari per l'avvio delle attività imprenditoriali, nell’intestazione di aziende operanti nel medesimo settore, per continuare a gestire i contratti acquisiti e le attività nel settore del gas metano, nonostante i precedenti provvedimenti cautelari a carico delle altre società a questi direttamente o indirettamente riconducibili.

Dallo sviluppo di tali filoni investigativi, è emerso che l’impresa oggetto della odierna misura avrebbe agevolato imprenditori già sottoposti ad indagini di polizia giudiziaria e misure di prevenzione ai sensi della normativa antimafia, in alcuni casi, consentendo agli stessi di neutralizzare i provvedimenti cautelari inflitti e di continuare a consolidare la propria espansione, in alcune regioni della penisola, nel settore del gas metano.
Per tali motivi, al fine di inibire la strumentalizzazione, ad opera della criminalità organizzata, delle attività economiche lecite, con l’emissione del Decreto che impone l’amministrazione giudiziaria o “sospensione temporanea dell’amministrazione”, il Tribunale di Palermo ha, di fatto, sollevato dalla gestione i rappresentanti della citata società per un periodo di sei mesi.
In pratica, l’azienda dovrà temporaneamente cedere la gestione agli amministratori giudiziari, ponendosi sotto “tutela” dell’Autorità Giudiziaria, la quale, al termine del periodo, valuterà la sussistenza dei presupposti per restituire o meno la gestione “bonificata” dalle presunte criticità riscontrate, ovvero procedere a conseguente sequestro ai fini della confisca.

Si tratta, in definitiva, di una misura preventiva antimafia che colpisce le aziende che pur non potendosi considerare “mafiose” risultano aver subito un’influenza da parte di soggetti contigui a Cosa Nostra, che è valsa a rafforzarne la presenza economica sul territorio.

La sospensione temporanea dell’amministrazione mira, in quest’ottica, a verificare l’idoneità del “sistema immunitario” dell’azienda interessata dall’applicazione del provvedimento a respingere i tentativi di influenza operati dai sodalizi mafiosi, fortificandolo – se possibile – al fine di salvaguardare l’attività imprenditoriale nel suo complesso, i livelli occupazionali, nonché l’indotto economico riferibile ai rapporti con clienti e fornitori.

Tuttavia, se nel periodo di amministrazione giudiziaria fosse accertato che l’attività economica non fosse stata semplicemente influenzata da interessi mafiosi ma che i rapporti con i soggetti collusi con Cosa Nostra fossero il frutto di una scelta consapevole di politica imprenditoriale, la Procura potrebbe ritenere di azionare una misura di prevenzione patrimoniale chiedendo al Tribunale il sequestro ai fini della confisca dell’azienda.
 

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