Cronaca


La Guardia di Finanza di Palermo ha sequestrato due immobili a Palermo, due autovetture e disponibilità finanziarie, per un valore di oltre 500.000 euro, in esecuzione di un provvedimento emesso dal Tribunale di Palermo – Sezione Misure di Prevenzione, su richiesta della locale Procura della Repubblica.

Interessato dal sequestro è un sessantacinquenne palermitano, Salvatore Conigliaro, di anni 65, già ritenuto socialmente pericoloso dal Tribunale di Palermo - con sentenze definitive del 2008 e 2013 – e condannato nel 2013 dal G.U.P. del Tribunale di Palermo ad anni otto di reclusione, per reati connessi al traffico di stupefacenti, commessi dal 2009 al 2011.

L’attuale provvedimento trae origine dalle indagini svolte dal G.I.C.O. del Nucleo di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza di Palermo, che hanno rilevato una netta sproporzione tra i redditi dichiarati dal complessivo nucleo familiare del soggetto e le acquisizioni patrimoniali realizzate nel tempo.

Nello specifico, i riscontri effettuati dalle Fiamme Gialle hanno permesso di evidenziare come il sessantacinquenne abbia fiscalmente dichiarato redditi solo nell’anno 2007, mentre i tre figli conviventi hanno, nel tempo, dichiarato redditi sporadici e per importi esigui o appena sufficienti a garantire le primarie spese di sussistenza.

Dallo sviluppo degli accertamenti economico-patrimoniali è emerso che, a fronte di tali limitate disponibilità, la convivente dell’interessato aveva, nel 2002, acquistato due fabbricati in Palermo e, successivamente, due autovetture, tutte spese risultate incompatibili con la descritta situazione reddituale.

altLe predette risultanze hanno consentito l’emissione del provvedimento di sequestro da parte della Sezione Misure di Prevenzione del Tribunale di Palermo. 

• n. 2 fabbricati siti in Palermo, largo del Pettirosso n. 8, entrambi di 6,5 vani ed identificati al catasto al foglio 83, part. 712, sub. 11 e foglio 83, part. 716;

• nr. 2 autovetture;
• disponibilità finanziarie (rapporti bancari, deposito titoli e polizze assicurative);

 

Era stato arrestato il 20 novembre del 2012 sull'autostrada nelle vicinanze di Bagheria, con una mezzo solitamente usato per il trasporto dei cavalli letteralmente 'imbottito' di hashish per un valore di mercato di due milioni di euro.

Giacinto (Gino) Tutino era stato condannato ad otto anni in primo grado, ma dopo cinque gradi di giudizio, in conseguenza della modifica della legge Fini - Giovanardi, ( in vigore  al momento della sentenza di 1° grado e che non faceva differenze tra droghe pesanti e leggere),  si è vista ridotta la pena a due anni praticamente già scontati, e pertanto gli sono stati concessi i domiciliari.

A difenderlo gli avvocati Rosalia Zarcone e Michele Rubino, che erano arrivati in Cassazione per difendere le ragioni del loro assitito, ma è  stato, come dicevamo,  il pronunciamneto della Corte costituzionale sulla legge  Fini-Giovanardi a spianare la strada verso la riduzione di pena e l'addio al carcere.

Nell'interpretazione dell'Alta Corte infatti doveva permaneva, per la costituzionalità della norma,  una distinzione tra droghe pesanti, cocaina, eroina e droghe leggere quale è considerato l'hashish.

All'epoca dei fatti era stata una soffiata ad inguaiare Tutino che pensava che l'avere sistemato i panetti di droga nelle intercapedini del van unito  all 'odore di escrementi di animali potesse servire ad ingannare gli inquirenti e a confondere il fiuto dei cani antidroga.

Qualche settimana fa, Gino Tutino era stato ricondotto a Bagheria per dare l'ultimo saluto al padre morente.

Stamane il sindaco di Bagheria Patrizio Cinque, accompagnato dalla presidente del consiglio, da quasi tutta la giunta e da parecchi consiglieri comunali di tutti i gruppi consiglieri comunali, hanno preso simbolicamente possesso al complesso SICIS di via Papa Giovanni di alcuni tra i beni confiscati alla mafia ed assegnati al comune di Bagheria.

Appartamenti, sedi di uffici, scantinati, per un valore pesato ad occhio almeno di una mezza dozzina di milioni di euro. Più in dettaglio si tratta di due attici presso il complesso SICIS appartenuti ai fratelli Francesco e Giovanni Bruno, un appartamento sempre nello stesso stabile confiscato a Nicola Greco, una palazzina su due piani ed uno scantinato, un tempo adibita ad uffici di imprese operanti nell'edilizia, oltre a diversi magazzini e ad uno scantinato sempre nello stesso complesso SICIS di oltre 2.000 mq.

Lo stato di conservazione degli immobili è buono anche se dei lavori importanti dovranno essere realizzati per renderli effettivamente fruibili per allocare servizi non solo comunali ma anche di quesgli Enti di utilità pubblica, l'ufficio del lavoro, l'ufficio delle tasse o quello per la riscossione, la Serit per capirci che ne hanno fatto richiesta.

"Il nostro obiettivo - spiega mentre va avanti nella visita il sindaco Patrizio Cinque - è quello di risparmiare i soldi di quei locali per i quali il comune paga onerosi canoni di affitto, quindi si penserà a qualche cosa che sia utile per tamponare le emergenze abitative legati alle famiglie degli sfrattati, e poi si penserà  a destinare quelli che potranno rivelarsi adatti anche alle Associazioni del territorio"

"Completeremo la ricognizione di tutti i beni - continua il sindaco - quindi ci siederemo con i tecnici attorno ad un tavolo, mettremo in campo le proposte e ne verificheremo la compatibilità e la praticabilità".

"Solo allora - conclude - approveremo un programma di destinazioni d'uso sul quale naturalmente decisivo sarà l'apporto della politica."

"La fase operativa sarà quella più problematica perchè occorrerà trovare le risorse per rimettere in pristino l'abitabilità di tanti locali e ambienti che in certi casi si presentano malmessi e degradati. Però una strada è stata aperta e la percorreremo con convinzione sino in fondo".

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Sergio Rosario Flamia, primo pentito bagherese di un certo peso, è diventato, al di là del suo stesso spessore criminale che pure non è dappoco, una sorta di pietra dello scandalo attorno a  cui si sta giocando una partita complicata tra  pezzi dello Stato.

La magistratura vuole, prendendo il caso Flamia come occasione, mettere in riga i servizi (ammesso che sia possibile), per tentare di disciplinarli e di costringerli che sia pure con la garanzia della riservatezza, anche loro sono tenuti a rispettare leggi e comportamenti.

Per questo la Procura di Palermo ha avviato una indagine sul cosiddetto 'protocollo Farfalla' siglato tra Servizi e amministrazione penitenziaria, e sulle visite che al di fuori di ogni norma e controllo agenti segreti presentatisi come avvocati hanno avuto con Flamia durante il periodo della sua carcerazione dal quando nel luglio- agosto dle 2008 cominciò la sua collaborazione.

I magistrati che conducono il processo trattativa stato-mafia, Di Matteo, Del Bene, Scarpinato, vogliono capire se le sue dichiarazioni che tendono a scagionare i generali Mori e Obinu dall'accusa di avere di fatto evitato la cattura di Bernardo Provenzano nel 1993 a Mezzoiuso, non siano state abilmente pilotate.

Ma c'è qualcosa di più grave che deve essere chiarito: come dice Flamia, e come i fatti confermano, questi seppe in anticipo che sarebbe stato arrestato nell'ambito dell'operazione Perseo che scattò il 16 dicembre del 2008, e sa anche, cosa effettivamente riscontrata che volutamente era stato fatto un errore nella data di nascita riportata sul mandato di fermo ( da 21.02.61 trasformata in 04.02.58), per rinviare di qualche giorno il suo arresto ( sarà infatti arrestato il 19 di dicembre).

Ma non basta: c'è un fatto se possibile ancora più grave, e cioè che a Flamia l'imputazione sarebbe stata derubricata da associazione mafiosa ad assistenza agli associati, e la domanda è: chi si è prestato e perchè a queste operazioni che si collocano fuori dalla legge e che nessun diritto alla riservatezza può legittimare? 

Perchè  sin quando si tratta di aiutare il mafioso a finire in un carcere più comodo magari passi, ma riuscire ad indurre in errore il magistrato, o peggio coinvolgerlo in un falso voluto e addirittura riuscire a far derubricare un reato, questo no; neanche l'opinione pubblica italiana che non è di palato fine sul terrreno delle tutela delle guarentigie della magistratura riesce a digerirlo.

E poi perchè era così importante il confidente Sergio Rosario Flamia per l'AISI (il servizio segreto civile) da costruire attorno a lui questo sistema di protezione? 

Flamia naviga, come si diceva un tempo tra Scilla e Cariddi: sa bene che alcune delle cose che dice inguaieranno qualcuno molto in alto nei servizi segreti, ma non ha scelta: per legittimare il suo status e la sua credibilità di pentito, sa che a questo punto non può più tacere nulla, perchè rischia di mettere in forse la sua 'carriera' di pentito, anche perchè già in uno dei primi verbali che contengono le sue dichiarazioni da pentito i magistrati lo avevano messo in guardia da farsi prendere per spirito di amicizia da qualche amnesia, omissione o sottovalutazione del ruolo avuto nell'organizzazione mafiosa di alcuni dei suoi sodali.

Da un canto i p.m. davanti ai quali ha iniziato il suo racconto-pentimento,  hanno giusto motivo di ritenere che tante delle cose dette da Flamia trovano puntuale riscontro, anche se, come dicevamo, all'inizio il Flamia aveva esordito cercando di sminuire il ruolo e le responsabilità di molti degli associati arrestati con lui nell'operazione 'Argo';  i p.m.hanno intuito e sventato subito questa manovra e gli hanno parlato chiaro, ed in questo senso nei verbali c'è un passaggio illuminante  che sommariamente riportiamo:

P.M:  Flamia, una cosa, tutti quelli, tutti i collaboratori, le persone che sentono vicine, sentono amiche poi istintivamente cercano di tenerle un pochino...

Flamia: No..

P.M. Ascolti, mi faccia dire una cosa e io le dico una cosa, una cosa che lo capisco, non viene fatta nemmeno per male, perchè è una cosa un qualcuno è istintiva...vorrei dire una cosa però, il difetto di queste cose, alla lunga poi vengono fuori...e poi finiscono per contraddire tutto una, tutta un'immagine..

Flamia : Dottore guardi nella maniera assoluta che io sto cercando  di coprire la posizione di Girgenti o la posizione di qualcun altro..

P.M.: ...è un problema di fatti, di capire i fatti, questo le voglio dire che poi un atteggiamento che magari non è per, che non vale per tutti lo stesso criterio, ma finisce che alla lunga scredita la figura perchè si scopre che ste cose vengono fuori, quindi..ed io le voglio dire questo, non è che lei deve usare il metro suo, cioè di dire: per essere un soggetto inserito in un contesto mafioso o vicino ad una famiglia mafiosa bisogna aver fatto omicidi, partecipato a fatti gravi come omicidi, perchè ..a noi i fatti interessano.

Pentito avvisato...

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