Cronaca

Lo scrive sulla Repubblica di oggi Salvo Palazzolo, che in questi giorni ha è parlato in più di un articolo della tensione che si è creata a Palazzo di giustizia, dopo che erano cominciate a filtrare le notizie di un summit dei boss per eliminare il magistrato non solo oggi ma da quando era ancora pubblico ministero a Caltanissetta il più esposto nel contrasto a cosa nostra.

Era stato qualche tempo fa il boss quarantenne Vito Galatolo figlio di Vincenzo, storico boss dell'Acquasanta, fedelissimo di Totò Riina e condannato all'ergastolo per la stagione delle stragi, a parlare di queso summit di capimafia per decidere l'eliminazione di Di Matteo.

Anche Vito Galatolo era stato arrestato  e si trova tutt'oggi in carcere: ma dopo il primo l'arresto e tronato in libertà nel 2002, ed anche  se si era trasferito in Veneto non disdegnava però di continuare i rapporti con esponenti della cosa nostra siciliana e di impegnarsi nella ricostituzione di una delle famiglie mafiose più forti e ricche di Palermo anche perchè nella zona di influenza dei Galatolo ricade il cantiere navale.

E sarebbe stata in una di queste occcasioni in cui si era ritrovato a Palermo, che avrebbe partecipato al summit di cui ha voluto parlare personalmente ed  esclusivamente con Di Matteo: "Per togliermi un peso dalla coscienza che negli ultimi tempi mi assillava", così ha motivato il suo gesto.

Ma lui non è un pentito, anche perchè, a parte le modalità generiche dell'attentato che si sarebbe dovuto mettere in atto contro Di Matteo, tritolo a Palermo o mitra e armi pesanti a Roma, non ha voluto dire altro, nè i nomi dei complici nè le motivazioni che sarebbero state dietro questo conato di ripresa della strategìa stragista di cosa nostra.

Anche se qualche traccia i mafiosi del loro livore contro Di Matteo l'avevano lasciata, a partire dalle frasi di Tottò Riina che probabilmente sapendo di essere inetrcettato ha voluto mandare il messaggio all'esterno, o alle forze di sicurezza e ai magistrati, o in caso di pubbblicazione delle intercettazioni, come poi è avvenuto, direttamente ai suoi sodali che si trovano all'esterno; ma anche in qualche banale battuta di mafiosi bagheresi si accennava alle modalità di far fuori il magistrato, che trascorreva le vacanze estive nella casa paterna di S.Flavia, in contrada Valdina.

Ma Totò Riina o qualche altro mammasantissima condannato all'ergastolo, ha ancora il potere per ordinare un delitto eccellente e di questa portata: "iddi su cunsumati - dicono spesso i mafiosi liberi parlano dei loro amici condannati all'ergastolo - e vulissiru cunsumari puru a nuatri".

A meno che ad interessarsi a Di Matteo non siano anche altre forze oscure, ed è per questo la dichiarazione di Galatolo viene letta e riletta con molta attenzione da magistrati ed inquirenti 

 

Si chiama Pietro Aiello , 22 anni di Bagheria, uno dei quattro arrestati con l'accusa di avere legato e imbavagliata, lo scorso 24 agosto, una signora ottantenne di Misilmeri per rubare la piccola cassaforte che si trovava in casa della donna, convinti che avrebbero trovato chissà cosa. I complici di Aiello sono stati Salvatore Di Pasquale, 36 anni e Michele Varia, 26 anni, palermitani e Piero Oriti Misterio, 33 anni di Misilmeri

Hanno studiato i dettagli di un piano, che ha fatto vivere  un vero e proprio incubo alla donna che si trovava al sicuro dentro la propria casa, presa d'assalto di notte mentre  si trovava da sola. Fu bloccata, minacciata, legata con alcune fascette al letto. E i malviventi riuscirono ad individuare la sua cassaforte, letteralmente sradicata dal muro con martello e scalpelli.

I componenti della banda oggi sono finiti tutti in manette, dopo lunghe e serrate indagini condotte dalla squadra mobile: i quattro peraltro agivano con violenza, terrorizzando e, se necessario, picchiando le proprie vittime, di modo che gli anziani che finivano nel loro mirino, impotenti, non avevano mai avuto alcun modo di reagire, né di chiedere aiuto.

Proprio come è successo all' ottantenne di Misilmeri. 

Il bottino fu però magro: nessun tesoretto nell'abitazione dell'anziana, che a parte qualche piccolo gioiello in casa, conservava soltanto poco più di ottanta euro e un cellulare, anche questo portato via.

La vittima fu lasciata legata e sotto choc, fino all'arrivo della polizia e degli uomini della Scientifica che effettuarono i rilievi. In questi mesi gli investigatori si sono messi sulle tracce dei quattro che avrebbero ultimamente messo a segno altri colpi violenti.

Prima e dopo ogni colpo, i complici utilizzavano sempre utenze diverse e parlavano in codice: la rapina diventava così la "partita di calcetto", il luogo in cui nascondere la refurtiva era lo "spogliatoio". A ricoprire i ruoli di vertice della banda, Di Pasquale ed Oriti, entrambi pregiudicati. Il primo ideava i piani e reclutava eventuali altri complici, il secondo - sottoposto ai domiciliari nello stesso periodo della rapina all'anziana di Misilmeri - sarebbe stato il basista.

Secondo gli inquirenti i colpi a segno sarebbero numerosi, le indagini sono ancora in corso. 

Dalle prime luci dell'alba è in corso un vasto blitz della polizia a Brancaccio. L'operazione Zefiro ha permesso di azzerare uno dei mandamenti più agguerriti del capoluogo. 

In azione il personale della squadra mobile di Palermo, con la collaborazione degli omologhi organismi investigativi di Milano, Napoli e Trapani e poliziotti del reparto prevenzione crimine Sicilia Occidentale. 

Le indagini sono state coordinate dalla locale Procura della Repubblica direzione distrettuale antimafia (procuratorI aggiunti Leonardo Agueci e Vittorio Teresi, sostituti procuratori Francesca Mazzocco, Caterina Malagoli e Ennio Petrigni).

L'operazione ha ricostruito la vita criminale degli ultimi anni di uno dei più potenti mandamenti mafiosi cittadini ed ha consentito di registrare, accanto alle tradizionali attività di lucro di Cosa Nostra, anche inediti contatti con cellule criminali provenienti da altre organizzazioni.

Il quadro emerso è quello di un contesto in cui anche chi non fosse formalmente affliato od organico a Cosa Nostra, è stato asservito nel raggiungimento dei suoi molteplici interessi criminali ed economici.

Eseguita una ordinanza di custodia cautelare in carcere, tra gli altri, nei confronti di alcuni esponenti delle famiglie mafiose incardinate nel mandamento cittadino di Brancaccio, ritenuti responsabili, a vario titolo, dei reati di associazione per delinquere di tipo mafioso, estorsione, traffico di sostanze stupefacenti, possesso ed uso illegale di armi da fuoco ed altro.

Sarebbero diciotto le ordinanze di custodia cautelare eseguite.

Questi i nomi degli arrestati nel blitz antidroga condotto oggi dai poliziotti della squadra mobile di Palermo: Cristian Balistreri, Giuseppe e Natale Bruno, Patrizio Catanzaro, Maurizio Costa, Santo Cozzuto, Claudio Crocillà, Giuseppe Cusimano, Vincenzo Di Piazza, Giuseppe Furitano, Mario Iannitello, Pietro L Vardera, Vincenzo Montescuro, Filiberto Palermo, Francesco Paolo Valdese, Massimiliano Voi, Antonio ed Egidio Zucchini.

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Lo scrive oggi il quotidiano la Repubblica in un articolo di Salvo Palazzolo, richiamato da un 'occhiello' nella prima pagina del quotidiano. Una fonte ritenuta dagli inquirenti molto attendibile ha rivelato che da tempo le famiglie mafiose di Palermo, e non solo, starebbero mettendo assieme esplosivo per un attentato al magistrato in primissima fila nella lotta contro cosa nostra.

Il giornalista aggiunge che in questi giorni anche Antonino Zarcone ha fatto riferimento ad una ipotesi di attentato a Di Matteo "Era coinvolta pure la cosca di Bagheria" avrebbe detto il pentito.

La notizia è stata considerata attendibile ed a Palermo si sarebbe svolto un vertice tra magistrati e specialisti delle forze dell'ordine, GIS dei Carabinieri e NOCS della Polizia, per rafforzare le misure di protezione a tutela del p.m. che sostiene l'accusa nel processo trattativa Stato-mafia.

altAnche dalle intercettazioni in carcere di Totò Riina emerge quantomeno un desiderio di chiudere i conti con Di Matteo: "Perchè questo Di Matteo non se ne va, gli hanno rinforzato la scorta, e allora se fosse possibile ucciderlo, una esecuzione come a quel tempo a Palermo".

E' possibile che Riina sapendo di essere intercettato abbia voluto veicolare all'esterno questo messaggio di morte. 

Fatto sta, fa rilevare Salvo Palazzolo nel suo articolo, che gli ultimi episodi accaduti al palazzo di Giustizia, a partire dlla lettera fatta ritrovare sulla scrivania di Scarpinato, le notizie di contatti 'anomali' tra agenti dei servizi e pentiti, hanno fatto innalzare il livello di allerta ma anche di tensione tra la magistratura inquirente.

nella foto di copertina a sx il p.m.Nino Di Matteo, il maggiore Claudio Montesi al centro, e a dx Francesco Fucarini, dirigente della Polizia di Stato

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