E tu capisci, ma non sai ridire - L'assassinio del padre di Pascoli di Giusy La Piana

E tu capisci, ma non sai ridire - L'assassinio del padre di Pascoli di Giusy La Piana

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Nella vita ci sono cose che ti cerchi e altre che ti vengono a cercare. Non le hai scelte e nemmeno le vorresti , ma arrivano e dopo non sei più uguale”. Queste considerazioni di Giorgio Faletti esprimono bene il fardello di eventi che ognuno di noi, in modo più o meno incisivo, si porta addosso inevitabilmente.

Chi ha la fortuna di potersi esprimere artisticamente può riversare queste sensazioni nella scrittura, nella pittura, nella musica e così via. Così il vissuto dell’artista finisce, non sempre in modo esplicito e voluto, nelle sue opere ed il pubblico potrà interpretarne, nella maniera più disparata e in base alla propria emotività, il messaggio in essa contenuta.

C’è un caso irrisolto, un omicidio rimasto impunito, che ha condizionato fortemente la storia personale e professionale di un poeta le cui opere chiunque abbia frequentato le scuole dell’obbligo ha avuto modo di studiare: Giovanni Pascoli.

Era il 10 agosto 1867, Giovanni aveva quasi dodici anni, quando nella fattoria Torlonia, situata all’estremo limite di San Mauro, fece ritorno la fedele “cavallina storna” riportando verso casa il corpo esanime di suo padre, Ruggero Pascoli, assassinato, a colpi di fucilate, al rientro dal mercato di Cesena. Nella nota poesia “Cavalla Storna” , Giovanni Pascoli descrive l’angoscia e il dolore per l’assassinio del genitore: “O Cavallina. Cavallina storna, che riportavi colui che non ritorna: lo so, lo so, che tu l’amavi forte! Con lui c’eri tu e la sua morte.”

Secondo diverse fonti storiche, Ruggero Pascoli, responsabile della tenuta dei Torlonia, avrebbe tentato di opporsi al traffico clandestino di sale che attraversava le terre da lui gestite. Dunque, in base a questa versione dei fatti, sarebbero stati i contrabbandieri a decidere di eliminarlo per poter continuare indisturbati i loro traffici. Se così fosse, si tratterebbe di un omicidio maturato in ambito locale, in un territorio con forte presenza banditesca. Ma da alcuni versi del poeta si apprende che egli ipotizzò che il mandante fosse qualcuno che la famiglia Pascoli conosceva bene: “O Cavallina. Cavallina storna, portavi a casa sua chi non ritorna[…] Fosti buona… ma parlar non sai! Tu non sai, poverina; altri non osa. Oh! Ma devi dirmi una cosa! Tu l’hai veduto l’uomo che l’uccise [….] Chi fu? Chi è? Ti voglio dire un nome. Tu fa un cenno. Dio T’insegni come. […] Mia madre alzò nel gran silenzio un dito: disse il nome … Sonò altro un nitrito”.

Il fatto che l’esecutore e il mandante di quel delitto non furono mai scoperti indubbiamente portò il poeta a porsi mille domande destinate a vagare nel mare magnum e a non trovare mai un approdo risolutivo. Una sensazione che il poeta provava anche a tanti anni di distanza da quel tragico evento. Ciò emerge anche dal carteggio tra Pascoli e l’amico giornalista Angelo Guido Bianchi.

Quest’ultimo aveva chiesto al poeta di mettere a frutto la sua esperienza di figlio di un assassinato e di scrivere un articolo su un caso simile. Ma con una lettera ( pubblicata sulla “Rivista pascoliana” a seguito di uno studio a cura di Manuela Montibelli) datata 29 giugno 1904 Pascoli rifiutava la proposta motivando di aver preso tale decisione per motivi di coscienza e in merito alla morte del padre scriveva: "Vittima allora e ora e sempre, d'un delitto piu' atroce di tutti perche' delitto a freddo, provo una severa rassegnazione di tutta l'anima al fatto che il delitto non fu potuto o meglio non fu voluto scoprire e punire. Non mitigherebbe la mia sventura e il mio dolore per niente il pensiero che ci fossero due o tre persone in galera a scontare il sangue innocente di mio padre. Lo scontino nella liberta' e nella felicita'! Qual felicita', qual liberta', con quel sangue nelle mani?"

Dall’analisi di alcuni carteggi, risalenti all’epoca dell’omicidio, viene fuori una Romagna dove si uccideva di frequente. Il quadro è quello di una esasperata tensione sociale contro il nuovo ordine sabaudo e di un’ autorità regia che sapeva reagire solo con la repressione. In tale contesto, il prefetto di Forlì attribuì l' assassinio di Ruggero Pascoli a terroristi definiti mazziniani, ne fece arrestare un paio, strumentalizzando il delitto per scatenare la caccia agli agitatori.
Ma, in base a diverse fonti, non avrebbe dato avvio ad alcuna indagine. E gli arrestati furono poi scarcerati senza clamori. Lo storico Giovanni Varni ha riportato alla luce un documento “riservato” custodito nell’archivio di stato di Forlì, in cui si fa riferimento alle Società Segrete. Si tratta delle considerazione che il Prefetto inviava a Roma, il 16 agosto 1867: "Al momento è partito da me l' onorevole signor conte Achille Rasponi il quale mi ha confermato le gravi apprensioni in cui si sta a Savignano e descritto il timore che hanno tutti i proprietari di grano di essere trucidati come lo sventurato Pascoli". […]

Ho appreso pure i gravi e fondati sospetti, e i non pochi indizi, che si hanno sugli autori dell' assassinio. Pare che esso non sia stato l' effetto di odii privati, o di inimicizia personale, ma sibbene la esecuzione di un accordo preso nelle Società Segrete di Cesena, che minacciano della stessa sorte altri 27 proprietari e che colgono a pretesto la esportazione del grano per ricominciare quella serie di assassinii, che desolarono codesto circondario sino all' anno scorso". E se le autorità dell’epoca non poterono o non vollero trovare un colpevole per l’omicidio, va osservato che l’assassinio di Ruggeri Pascoli è stato, nel corso degli anni, oggetto di numerosi studi e ricostruzioni. Nel settembre del 1981 Pietro Cimatti rese pubbliche le sue indagini sul caso Pascoli, sostenendo che l’autore del delitto fu un certo Funecchia, contrabbandiere con dipendenza da alcool.

Secondo altre teorie il delitto sarebbe scaturito come riverbero di una subcultura criminale- contadina. Ma il confine fra verità storica, analisi sociologica, letteratura e illazione in alcuni casi è profondamente labile. Infatti, nonostante un’attenta analisi della documentazione disponibile, sono attualmente pochi gli indizi disponibili per tentare di tirar fuori questo illustre delitto irrisolto dall’ennesimo buco nero nella storia
d’Italia.


Giusy La Piana

- Criminologo -