Analisi degli istituti del condono e della sanatoria con particolare riferimento alle conseguenze sui provvedimenti amministrativi emessi sulla base di una legge poi dichiarata incostituzionale.
I termini condono e sanatoria vengono spesso (erroneamente) utilizzati come sinonimi. L’utilizzo distorto deriva, forse, dalle finalità che entrambi gli istituti perseguono, ossia la regolarizzazione delle opere abusivamente realizzate.
Con il presente contributo si cercherà di delinearne le differenze e, ove esistenti, le analogie.
Si ritiene opportuno precisare sin da subito che la sanatoria, o accertamento di conformità, è disciplinata dall’art. 36 del d.P.R. 380/2001 e può essere richiesta in qualsiasi momento, non essendo previsti limiti temporali alla sua applicazione.
L’articolo in commento prevede che l’istituto della sanatoria trovi applicazione “in caso di interventi realizzati in assenza di permesso di costruire, o in difformità da esso, ovvero in assenza di segnalazione di inizio attività”.
Occorre sottolineare che sarà possibile ottenere il permesso in sanatoria solo se l’intervento realizzato risulti essere conforme alla disciplina urbanistica vigente sia al momento della realizzazione dello stesso che al momento della presentazione della domanda (cosiddetta doppia conformità).
Il condono, invece, per la sua applicazione, non risulta subordinato al requisito della doppia conformità; quanto affermato rappresenta certamente la differenza di maggior rilievo rispetto alla disciplina della sanatoria.
In altre parole, il condono consente di regolarizzare le opere abusivamente realizzate a prescindere dalla doppia conformità essendo richiesta unicamente l’osservanza dei requisiti indicati nella legge che, appunto, lo prevede e lo disciplina.
Per tale motivo, si ritiene che il condono abbia natura eccezionale e temporanea essendo la sua applicazione subordinata ad una espressa previsione normativa e legata a rigidi periodi temporali in essa contenuti.
In tal senso, si precisa che la prima legge che ha disciplinato e previsto il condono è la n. 47 del 1985, la seconda la n. 724 del 1994 e, infine la terza la n. 326 del 2003.
Per completezza espositiva occorre evidenziare che le leggi innanzi indicate contengono numerosi limiti all’applicazione dell’istituto in commento, alcuni di natura strettamente quantitativa altri legati, ad esempio, all’osservanza dei vincoli di inedificabilità (assoluta).
Prima di procedere all’analisi della giurisprudenza amministrativa appare opportuno chiarire un ulteriore aspetto legato al recepimento, in Sicilia, del d.P.R. 380/2001 avvenuto con la legge regionale n. 16 del 2016.
Tale recepimento è avvenuto con oltre 15 anni di ritardo, vanificando, di fatto, la potestà legislativa esclusiva della regione Sicilia in materia di urbanistica.
Orbene, con la legge innanzi indicata la regione Sicilia aveva recepito, con modifiche, anche l’art. 36 del d.P.R. 380/2001 (che sarebbe diventato l’art. 14 l.r. 16/2016); tali modifiche avevano escluso il requisito della doppia conformità prevedendo unicamente, al fine di ottenere il permesso in sanatoria, la conformità degli interventi alle disposizioni urbanistiche vigenti al momento della domanda. Inoltre, era prevista la configurazione del silenzio – assenso, per le istanze di sanatoria, decorsi 90 giorni dalla data di presentazione.
Tale articolo, insieme ad altri, è stato oggetto di un giudizio di costituzionalità. La Corte Costituzionale, accogliendo il ricorso, con la sentenza n. 232 del 2017, aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 14 della legge regionale nella parte in cui aveva escluso il requisito della doppia conformità.
Secondo la Corte Costituzionale la norma impugnata configurava una sorta di “condono mascherato” la cui previsione e disciplina esulava dalle competenze della regione Sicilia. In altre parole, secondo la Corte il legislatore siciliano avrebbe provato a far rientrare dalla finestra ciò che non avrebbe potuto far entrare dal portone.
Chiarito tale aspetto, occorre analizzare le conseguenze giuridiche che discendono dalla sentenza della Corte Costituzionale in relazione alle istanze di sanatoria presentate nel periodo compreso dall’entrata in vigore della legge regionale 16/2016 fino alla declaratoria di incostituzionalità dell’art. 14 ad opera della sentenza n. 232 dell’8 novembre 2017.
Non può revocarsi in dubbio che in Sicilia a partire dal 3 settembre 2016, fino all’8.11.2017 (data di pubblicazione della sentenza della Corte Costituzionale), l’art. 14 della legge regionale n. 16 del 2016 trova applicazione nella sua originaria formulazione.
Ma, dopo la pubblicazione della sentenza, cosa succede all’atto amministrativo emanato in base ad una legge successivamente dichiarata incostituzionale?
Secondo il Tar Napoli, sent. 1039/2014, la dichiarazione di incostituzionalità di una norma non determina la caducazione automatica dell’atto amministrativo la quale si potrà realizzare o nel caso di una pronuncia dell’organo giurisdizionale o a causa dell’annullamento in autotutela dell’organo che l’ha emanato.
In conclusione, si può affermare che l’atto “rimane in vita”, e produce i suoi effetti, in mancanza di “un intervento esterno”.
Avv. Antonino Cannizzo
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