Vecchie Storie. U boiacani - di Angelo Gargano

Vecchie Storie. U boiacani - di Angelo Gargano

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Trasitivinni rintra ca c’è u boiacani“, era una delle ingiunzioni che un tempo metteva in preoccupazione e allarme i più piccoli; ed il motivo per impedire ai bambini di guardare il lavoro dei ‘boiacani’ più che dalla paura intrinseca che poteva mettere u boiacani, che già nel nome rimandava a timori ancestrali, era la ‘qualità’ dello spettacolo.


Quel cane sventurato che, ‘nchiaccatu’ dentro quel cappio a molla posto in cima ad una asta flessibile che i boiacani manovravano con sapienza e maestria, che guaiva disperatamente e si dibatteva per liberarsi, non era certo un bel vedere per i più piccoli.

Nei primi anni ’50 i boiacani giravano in due con dei carretti su cui era sistemata un sorta di cassone metallico chiuso da grate in parte e dove venivano stipati i cani dopo la cattura: poi si cominciò a usare un furgone.

Giravano nei quartieri popolari, e si muovevano i boiacani, silenziosi e quasi invisibili come monatti, con il loro cappio ben nascosto dietro la schiena si avvicinavano con atteggiamento indifferente alla vittima per colpire poi all’improvviso ed in maniera fulminea.

E non era solo lotta al randagismo, ma il tentativo spesso vano di far pagare la tassa comunale sul possesso dei cani: per cui alla segnalazione che c’era u boiacani in giro ognuno correva a recuperare il proprio cane per nasconderlo in casa cercando di evitare anche che abbaiasse.

.I cani regolarmente appartenenti ad un padrone al tempo pagavano infatti una tassa e dovevano essere segnalati all’Anagrafe canina che ai tempi era in via Roccaforte ‘e casi russi’, alle case rosse, che un tempo erano state case popolari.

Sulla destinazione finale dei cani accalappiati giravano le solite leggende metropolitane e le notizie più strane che alimentavano fantasie e paure.

All’anagrafe degli animali, in un periodo in cui l’abigeato era uno dei reati sino agli anni ’60 più diffusi, era d’obbligo ‘marchiare’ ovini, bovini, equini e suini per renderne riconoscibile l’appartenenza.

Ed infine un piccolo dettaglio che fa intendere quanto più sensibilità e rispetto per gli animali ci fosse, malgrado tutto, un tempo, anche per la semplice considerazione che alcuni animali, gli equini per esempio,  erano molto più utili di quanto non avvenga adesso.

Nei primi anni ’50 venne diffusa una ordinanza sindacale che faceva obbligo ai proprietari di equini nel periodo giugno settembre di dotare i loro animali, cavalli, asini o muli che fossero di un cappellino che riparasse la testa degli animali e li proteggesse dal sole estivo; in caso di inadempienza le sanzioni erano veramente pesanti.

L’ordinanza traeva origine dal fatto che al tempo gli animali restavano in strada per ore ed ore e dalle nostre parti in estate e ‘sutta u picu u suli’, era dura per tutti, animali compresi.

Siccome non veniva specificato il tipo, il materiale o la foggia del copricapo che doveva essere usato, ogni carrettiere si sbizzarrì in una serie di soluzioni personali di grande effetto: chi usò veri e propri cappelli di paglia cuciti direttamente sulla ‘testiera’, chi sagomò sulla testa dell’animale facendo dei fori per le orecchie i cappelli più strani ma funzionali al senso dell’ordinanza.

Ma di ordinanze ‘stravaganti’ al tempo ne fu adottata anche una che imponeva il pagamento di una tassa per chi aveva un pergolato, come allora si usava, davanti casa: “attacca u sceccu unni voli u patruni” era il commento rassegnato della gente comune di fronte alla bizzarria di certe trovate; non trovò naturalmente applicazione concreta quella ordinanza, del resto come oggi quando tante gride (di manzoniana memoria) passano presto nel dimenticatoio e restano inapplicate, però in tanti spiantarono a prievula e andarono a ripiantarla in campagna.

La vite della nostra prievula che sorgeva davanti all’abitazione ru Bagghiu Cavalieri andammo a ripiantarla a Torremuzza dove è ancora sana, viva e vegeta.

Alla faccia delle ordinanze sindacali.