Una vicenda triste, ma esemplare, che tutti gli educatori debbono conoscere

Una vicenda triste, ma esemplare, che tutti gli educatori debbono conoscere

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Il 6 novembre del 2006 presso la scuola 'G.Cirincione', nella classe III D, si era assentata la maestra ed in sostituzione di quest'ultima era stato chiamato un supplente. 

All'interno della classe i bambini di 7-8 anni giocavano tra loro facendo pernacchie proprio nel momento in cui il supplente faceva il suo ingresso in classe.

L'insegnante, stizzito, chiamava uno scolaro alla cattedra fecendogli ripetere il verso, e successivamente esortava l'intera classe a farlo con lo scopo, pare, di spiegare la volgarità del gesto: uno dei bambini però, un pò distratto, ripeteva, involontariamente solista, il verso dopo tutti gli altri.

Il maestro sentendosi deriso afferrava per l'orecchio il piccolo, G.C.,e lo costringeva, a fare carponi il giro per tutta la classe e ad emettere i grugniti tipici del maiale ( 'ad assumere atteggiamenti maialeschi' come reciterà poi il capo di imputazione) dicendogli che così era veramente un 'porco';  tale metodo di correzione, era finalizzato, a dire del maestro, a costringere il piccolo ad assumersi  le sue responsabilità.

Solo in serata,V.C., la mamma del piccolo alunno,  avrà piena contezza dei fatti accaduti in classe e neanche direttamente dal figlio che, dopo un moto di rabbia, piangendo l'intero pomeriggio si era chiuso in un interminabile ed ostinato silenzio; ad informare V.C. erano state le telefonate delle mamme degli altri bambini che avevano riferito in famiglia quanto accaduto in classe, e lo stato di prostrazione e turbamento del bambino per la sproporzionata , oltre che immeritata, punizione ricevuta.

Il giorno dopo la mamma dell'alunno, scossa anche dal preoccupante e volontario silenzio e isolamento in cui si era rifugiato il bambino, si è recata  presso la scuola 'G.Cirincione' dove alla presenza del Dirigente del tempo Lucio Granato,  ha chiesto lumi al maestro in ordine alla punizione impartita.

Il 'maestro' per nulla ravveduto o scosso ha invitato la madre a fare da 'modella' per dimostrarle quella, che a suo dire, sarebbe stata una punizione esemplare in linea con i 'canoni' educativi.

A questo punto la madre del piccolo, avendo compreso quanto di efferato e di psico-pedagogicamente scorretto e  nocivo il 'maestro' avesse posto in essere, ha apostrofato l'insegnante " Lei è un mostro e non dovrebbe insegnare".

Di conseguenza V.C. ha presentato un esposto al Provveditorato, la cui conclusione è stata l'insabbiamento del caso (così definito, seppur con sinonimi, dalle sentenze che poi seguiranno).

Nelle more l'insegnante, non contento del danno arrecato al piccolo, ha avuto l'improntitudine di denunciare la mamma per diffamazione.

D'ufficio però la Procura, in conseguenza della comunicazione d'obbligo partita dallo stesso Provveditorato, denuncia l'insegnante per 'abuso di mezzi di correzione'.

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I due procedimenti paralleli, sono giunti entrambi all'epilogo di primo grado che ha visto la mamma del bimbo assolta, perchè il fatto non sussiste, mentre di contro l'insegnante è stato condannato a due mesi di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali, e di euro 5.000 a titolo di provvisionale sul risarcimento dei danni da liquidarsi in separata sede, sospendendo la pena detentiva a condizione che, il pagamento della provvisionale avvenisse entro sessanta giorni dalla sentenza.

Il 'maestro' ha interposto appello avverso ambedue le sentenze. La Corte d'appello ha, di contro, confermato entrambe le sentenze di primo grado, gravando di ulteriori spese il ricorrente.

Ma ancora le 'lezioni' ricevute, al 'maestro' non bastavano: ha proposto ricorso in Cassazione con motivazioni che, a suo dire, giustificavano la punizione impartita, proporzionata all'atto di 'bullismo' messo in atto dal bambino.

Riportiamo testualmente due delle frasi, illuminanti, per capire le ragioni di fondo su cui si fondava il ricorso: " La sentenza - scrive nel ricorso in Cassazione, l'avvocato Lorenzo La Marca, difensore del 'maestro', - non può non essere inquadrata nella valutazione sociale e culturale, sociale/mafiosa in cui i maestri di Bagheria, cittadina di nota estrazione mafiosa, con un tessuto sociale e culturale per lo più di natura delinquenziale, sono per lo più obbligati ad operare, operando spesso per il recupero sociale e culturale di adolescenti provenienti da realtà che riflettono nelle aule di scuole fenomeni antisociali tipici della cultura mafiosa".

Ed ancora:

"Tale atto di bullismo minorile, nel caso specifico fare le pernacchie al maestro, è altresì tipica espressione di una volontà di sfida all'Autorità costituita, nel caso specifico rappresentata dal maestro, che rientra nelle dinamiche socioculturali del fenomeno mafioso di sfida all'autorità statale."

Conclusione della storia

Il giorno 19.03.2014, la VI sez. della Corte suprema di Cassazione, ha dichiarato inammissibile il ricorso del 'maestro' condannato a mille euro di spesa, oltre al pagamento di ulteriori euro 3.500 oltre le spese generali, con ciò accogliendo in pieno le richieste della parte civile costituita ( la madre del piccolo).

Gli avvocati che hanno difeso la mamma del bambino , avv. Gino Rausa e Claudio Schicchi, hanno ovviamente dichiarato le propria soddisfazione sotto il profilo dei risultati del procedimento, e si sono trovati in piena sintonia con quanto scritto dalla Corte di appello di Palermo circa la condanna inflitta in primo grado al maestro "davvero generosamente...ha concesso all'imputato le attenuanti genriche e i doppi benefici di legge, fissando una pena assai mite..."