“Mia mano, fatti piuma, fatti velame, fatti fruscio, e leggera impara a carezzare gli spigoli e le rughe delle realtà. Lo so che la tentazione di scorrere in cielo a cercare le nuvole è grande, ma se impari a toccare la scorza disadorna delle cose, la pelle ruvida delle persone, scoprirai che sotto quella superficie, a volte, si agitano colori impensati.”
Il bonsai in Giappone è anche detto “albero a coppa”, quando si realizza un bonsai sono obbligatori tre passaggi, in analogia alla vita, i tre passaggi sono lo SHU, momento dell’osservazione, quando si guarda il maestro per apprendere, l’HA, momento dell’azione , si applica ciò che si è appreso in teoria e infine il RI, momento detto del “superamento”, si passa oltre l’esperienza fatta.
Nel piccolo grande libro di Germana Fabiano, “Racconti bonsai”, vi è la piena realizzazione delle tre fasi e l’opera si può considerare fatta, eccellentemente realizzata.
Nel delineare i racconti è indispensabile fare un uso enorme di aggettivi, non giusto per abundantia, esclusivamente perché quanto letto è spiazzante, disorientante, sopraffino, raffinato, intelligente, sagace, misterico, in buona sostanza un’ esperienza totalizzante.
Lo stile della scrittura, la struttura del racconto porta il lettore a forgiare un opinione sulla vicenda di turno o sul personaggio illustrato, amandolo o detestandolo, per poi rendersi conto, alla fine del racconto, che ci si era sbagliati. Rimanere ancora sorpresi è una gioia da gustare su una comoda poltrona.
I temi affrontati vanno dalla “bellezza” della morte, alla religione, all’immigrazione, sostenuti tutti con una semplicità che mai scivola sul banale. Nei racconti, il carnefice diviene vittima e viceversa quando tutto sembra essere chiaro Germana trasporta come uno tsunami il lettore da un punto all’altro, giunge uno schiaffo in pieno viso a rammentare che la verità è come uno specchio rotto, ognuno prende il suo pezzo, ma ha solo la visione limitata, la propria.
Ciò che accade spesso viene mutato in anticipo nella nostra immaginazione, così quello che si vede o si sente sono solo impulsi che arrivano al cervello e che lui solo interpreta nel modo che desidera.
Il messaggio è chiaro, mai fermarsi all’apparenza, all’interno di ogni cosa e di ognuno di noi c’è un mondo a volte incomprensibile, un mondo da osservare con attenzione per scongiurare di ferire chi ci sta vicino o addirittura di cadere nei luoghi comuni. Un presupposto di riflessione sulla necessità che abbiamo di dare sempre un giudizio, ma in fondo chi siamo noi per giudicare?
Un proverbio dei nativi americani recita: non giudicare il tuo vicino finché non avrai camminato per due lune nelle sue scarpe.
Non mancate all’iniziativa di sabato 10 febbraio “Un libro per filippo”.
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